Dal libro "Isole di cultura"

Valle dei Mòcheni / Bersntol -

Fersentaler Gemeinschaft im Trentino

PREMESSA

Per una denominazione geograficamente corretta dell'area di insediamento della comunità di lingua mòchena si incorre immediatamente in alcune difficoltà.
Le possibilità di indicazione geografica in lingua italiana sono sostanzialmente tre:
1. Valle del Fèrsina. È la denominazione geografica forse più nota, anche se è fin troppo ampia, sottintendendo che si parli dell'area che va dalle sorgenti del Torrente Fèrsina (il lago di Erdemolo a 2.005 metri sul livello del mare) fino a dove esso convoglia le sue acque nel fiume Adige, cioè nella città capoluogo di Trento. Così facendo, si potrebbe pensare che rientrino a pieno titolo nella Valle del Fèrsina anche, ad esempio, le cittadine di Pergine e di Civezzano, collocate evidentemente sulle sponde del torrente.
2. Valle dei Mòcheni. Si fondono in questo caso molto chiaramente due concetti: quello puramente geografico del termine "valle" e quello che tutto è tranne geografico di "mòcheni". Non si tratta della prima area che viene denominata in base alla popolazione che vi abita, anzi, forse siamo vicinissimi a nomi illustri come Germania, Sicilia e Lombardia. La forma di specificazione "dei" chiarisce oltretutto immediatamente di che realtà stiamo parlando.
3. Alta Valle del Fèrsina. Siamo qui di fronte a una forma usata solo raramente e che ha però il carattere dell'ineccepibilità dal punto di vista geografico, indicando chiaramente l'area contraddistinta dai primi brontolii del torrente Fèrsina, prima di entrare nelle zone pianeggianti del perginese.
Approfondiremo più avanti altre denominazioni che si sono avvicendate nelle cartine e nei testi in passato, ma prima di abbandonare l'argomento vanno citate le altre due denominazioni che vengono correntemente usate dal punto di vista geografico, però in lingue diversa da quella italiana. La più nota è sicuramente la forma tedesca "Fersental" che coincide perfettamente con la traduzione "Valle del Fèrsina" così come la recente forma in lingua mòchena "Bersntol".

PRESENTAZIONE

La valle confina a sud con la Valsugana, ad ovest con la zona del perginese e il pinetano, a nord con l'altopiano di Piné e le prime propaggini della catena montuosa del Lagorai che la circondano poi completamente nella zona ad est. Si presenta - per così dire - come un cuneo che sale degradando dalla piana perginese per non più di 15 km.
La sponda sinistra si presenta dal punto di vista orografico ricca di corsi d'acqua che però scendono velocemente verso il Fèrsina, per via del territorio che è piuttosto scosceso anche se ricco di terrazzamenti. Altrettanto vale per il territorio di Palù, che pur essendo meglio esposto soffre della quota relativamente alta. Di aspetto piuttosto diverso è la parte più bassa del versante destro, quella di area italofona: qui infatti le distese pianeggianti sono notevolmente più ampie, i corsi d'acqua più rari ma meno impetuosi.
Nell'area di riferimento le aree non coltivate hanno una netta prevalenza di boschi di conifere (abeti e larici) anche se nelle quote più basse ritroviamo latifoglie (acacie, castagni, ecc.). Il limitare del bosco è intorno ai 1900 metri, dove le distese maggiori sono coperte da ginepri, mughi e rododendri.
Tra le specie animali selvatiche troviamo gli scoiattoli, le marmotte, i camosci, i cervi, i caprioli, le lepri; tra le specie floreali la stella alpina, il giglio martagone e la saponaia. Attualmente la comunità mòchena è insediata nei territori dei comuni di Frassilongo/Garait, Fierozzo/Varutz e Palù del Fèrsina/Palai en Bersntol.
A titolo indicativo la quota più bassa (621 m) si trova nel comune di Frassilongo mentre la quota più alta (Cima di Sasso Rotto/Schrum, m. 2394) nel comune di Palù/Palai corrisponde anche alla zona più Orientale della Valle. L'estensione complessiva di questi tre comuni che coprono l'intera superficie della sponda sinistra e l'estremità superiore della sponda destra della valle corrisponde a poco più di 51 km2.

Fersental (Bersntol)-Valle del Férsina: Gesamtblick mit den Bergen Calisio und Cimirlo im Hintergrund

Fersental (Bersntol)-Valle del Férsina: Gesamtblick mit den Bergen Calisio und Cimirlo im Hintergrund

In der Abbildung 1 sehen wir die Bevölkerungsentwicklung von 1951 bis heute, nach Gemeinden unterteilt.

Bevölkerungsentwicklung (1951-2001)
Gemeinde 1951 1961 1971 1981 1991 2001
Palù/Palai 340 337 323 287 221 191
Fierozzo/Vlarotz 601 552 447 438 437 441
Frassilongo/Garait 634 623 472 462 380 356

Auffallend ist der Anteil der älteren Menschen an der Gesamtbevölkerung, was kein gutes Zeichen für deren Bestand ist.

LA COLONIZZAZIONE DELLA VALLE

Prima del 1200 il territorio dell'intera sponda sinistra e della parte alta del Fèrsina era probabilmente un territorio sfruttato per il pascolo, per i boschi e per la caccia.
È comunque sbagliato considerarlo un territorio senza proprietà, in quanto i signori del periodo feudale di sicuro non hanno trascurato anche queste possibilità di sfruttamento e pertanto la proprietà è ben delimitata e nota. Fin dai primi documenti a disposizione la montagna di Frassilongo e Roveda gravita tra le proprietà del Castello di Pergine, la montagna di Fierozzo risulta di proprietà del Capitolo della Cattedrale di Trento e quella di Palù tra i possedimenti del Castello di Caldonazzo. I confini sono geograficamente ben individuabili e costituiti da crinali delle montagne o torrenti significativi.
Ogni proprietario gestiva il territorio come meglio credeva, ma certamente secondo gli usi locali del tempo. Così per un certo periodo grandi aree - se non addirittura l'intera montagna - veniva affittata a comunità vicine o che particolarmente necessitavano di pascoli estivi o di legna.
Ma il XIII secolo costituì un periodo di svolta. Soprattutto da nord ci fu sempre maggiore richiesta di terra da lavorare, l'unica possibilità di sopravvivenza per un crescente numero di famiglie seguite all'aumento demografico e alle innovazioni in agricoltura avvenute intorno al mille.
Ampie zone del Tirolo e del Trentino che fino ad allora erano considerate di scarso interesse, divennero allora interessanti come zone di nuovo insediamento per un succedersi di famiglie bisognose e in cerca di zone sempre più favorevoli.
Per il nostro territorio, non si trattò di ondate di coloni provenienti direttamente dalla Baviera, ma di un moto sparso con famiglie provenienti da altre aree come il pinetano, gli altopiani di Folgaria e Lavarone, il Tirolo. Tutto ciò è potuto avvenire in un sistema di tipo feudale, dove quasi mai il contadino era direttamente proprietario della terra che lavorava, ma era comunque "libero": il legame con il proprietario della terra era di tipo economico e non personale, qualora il contadino se ne fosse voluto andare in un'altra zona, sarebbe stato libero di farlo.
Le famiglie che si sono insediate a Frassilongo piuttosto che a Roveda o a Fierozzo piuttosto che a Palù avevano per lo più solo due elementi in comune: la necessità o la voglia di una terra nuova da lavorare e la parlata "teutonica", cioè tedesca.
I feudatari che si dividevano il territorio, favorirono l'insediamento di coloni stabili, in quanto ciò significava anche un aumento delle loro entrate. Ogni famiglia che riceveva in affitto un appezzamento di terreno, pagava infatti un canone annuo e contribuiva anche - attraverso un complesso intrico di balzelli, prestazioni e tassazioni - sotto altre forme ad incrementare il patrimonio dei padroni dei Castelli di Caldonazzo e di Pergine, quest'ultimo subentrato nel frattempo al Capitolo di Trento nella proprietà della montagna di Fierozzo.
L'insieme dei terreni e degli stabili di cui un contadino viene "investito" dal signore del Castello è il "maso" hof e comprende terreni di diversa qualità che vanno da una fascia altimetrica che varia dai 700 ai 1100 metri di Frassilongo e dai 1100 ai 1500 di Palù. La durata dell'investitura è quasi sempre di 19 anni, ma si può rinnovare automaticamente anche per generazioni.
Come si diceva, nella fase iniziale non era rado che i signori concedessero delle particolari agevolazioni proprio per avviare l'attività, basti pensare alla necessità di costruire stalle e abitazioni, disboscare e dissodare, costruire muretti di contenimento, ecc. , tuttavia alcune famiglie se ne andarono ed altre subentrarono soprattutto nei primi secoli, mentre col procedere del tempo la situazione si cristallizza. La maggior parte delle famiglie presenti nel 1500-1600 corrisponde infatti a quelle ancora oggi radicate sul territorio.

IL MASO

Il contadino vive essenzialmente sull'allevamento di mucche, qualche pecora, qualche capra, pollame e naturalmente dei prodotti della terra. Cereali, cavoli, fave e prodotti dell'orto in genere sono ciò che la famiglia per tutto l'anno, ma soprattutto nel lungo inverno, ha da consumare. Poi alcuni prodotti vengono scambiati con altri nel fondovalle e così si riesce talvolta ad immagazzinare delle botti di vino.
Per sfruttare al meglio il territorio a disposizione, si costruisce la casa di abitazione e la stalla in zone non produttive e si addossano alla montagna il più possibile, anche per poter immagazzinare più comodamente dal lato a monte i grandi quantitativi di fieno necessari per le mucche e avere nei locali sottostanti la possibilità di ricavarne uno ad uso cantina per la conservazione dei crauti. Ma poi non era tutto. In estate tutti possono portare il bestiame a pascolare nei pascoli alti e lì vicino vi è la possibilità di costruire un piccolo ricovero al limitare del maso: nasce così la baita hit che poi in qualche caso viene leggermente ingrandita per ospitare anche un fuoco per il pastore. Ogni hof trova così spazio per poter provvedere da sé anche per il periodo estivo, senza la necessità di malghe comuni.
La dimensione del hof data dal signore del Castello è inizialmente generosa e comunque sufficiente al mantenimento di una famiglia in maniera dignitosa. Ma cosa succede con il susseguirsi delle generazioni? Chi erediterà il maso e soprattutto erediterà l'intero maso?
Forse mai come in questo caso il diritto civile entra a diretto contatto con la storia e la comunità, plasmandola per secoli in tutti i suoi aspetti. Le comunità hanno fin dall'inizio le loro consuetudini e le loro regole, che soprattutto nel 1500 nella nostra regione iniziano a venire codificate, cioè trascritte, riconosciute dall'autorità ed applicate. È chiaro che ciò avviene innanzitutto per le comunità più grandi a cui in seguito fanno riferimento quelle più piccole. Questo per i nostri comuni può essere solo desunto, in quanto mancano i documenti autentici, ma si andrà senz'altro molto vicino alla realtà pensando che lo Statuto di Pergine - che si rifaceva in qualche modo a quello di Trento - sia più o meno stato adottato anche nelle piccole comunità della valle.
Certo è che comunque i masi possono essere suddivisi tra tutti i figli maschi in parti uguali, mentre alle femmine spetta un semplice riconoscimento poco più che simbolico: la dote.
Una volta esaurita la completa colonizzazione del territorio, passati alcuni periodi non proprio favorevoli alla crescita della prosperità (turbolenze belliche, peste, ecc.) anche la comunità inizia a crescere numericamente e sfruttate il più possibile tutte le nicchie offerte dal territorio (con ulteriori disboscamenti, fertilizzazioni, bonifiche, ecc.) non rimane che adottare svariate strategie per garantire la sopravvivenza almeno a chi rimane alla conduzione del maso.
Ecco così che i matrimoni combinati, l'alto tasso di celibato, una accorta politica di suddivisione dei terreni e di compravendite, ecc. riescono in un certo modo a frenare l'eccessiva frammentazione delle proprietà fino a far cessare il requisito di porzione minima per la sopravvivenza di una famiglia.
Ma i meccanismi e le strategie interne non sono sufficienti e fin dal 1600 intervengono dei fenomeni che permeano la comunità mòchena fino al giorno d'oggi: l'emigrazione e der hondl.

Fersental (Bersntol)-Valle del Férsina: Winter

Fersental (Bersntol)-Valle del Férsina: Winter

L'EMIGRAZIONE

Da circa quattro secoli persone della valle lasciano per sempre la comunità dove sono nati e cresciuti, perché costretti a cercare altrove degne condizioni di sopravvivenza. A seconda dei periodi e delle necessità, variavano sia il numero delle persone che la destinazione.
Alcune destinazioni in paesi vicini - come la Valsugana, la zona di Civezzano, la zona di Povo nei pressi di Trento - diventano a loro volta veri e propri insediamenti mòcheni con decine di famiglie. Anche se gli studi in questa direzioni sono tutti da svolgere, in molti casi è sufficiente il semplice distintivo del cognome per far risalire la provenienza alla valle.
Molta consistenza il fenomeno dell'emigrazione l'ha assunta a partire dalla fine del XIX secolo: nei registri sono annotate decine e decine di persone che lasciano la propria patria ufficialmente per l'Europa, ma in realtà per le miniere del Colorado e dello Utah. La storia di una comunità diventa in questo caso storia comune della nostra regione, ma anche ad esempio del Veneto. Giovani che emigrano per alcuni anni e che poi ritornano (pochi), altri che già sanno di non fare più ritorno, altri cercano di far arrivare nella nuova patria la famiglia, altri abbandonano patria e amori alla ricerca di un sogno che (quasi) mai si avvera.
Dalla fine degli anni '30 del XX secolo l'emigrazione si collega anche ai fattori politici del fascismo e del nazismo. La possibilità di optare per il Reich tedesco nel 1939 estesa sommariamente dal Sudtirolo alle comunità germaniche dell'Italia Settentrionale diventa l'occasione per una emigrazione di massa, soprattutto per la comunità di Palù che sembra intravedere a stragrande maggioranza la possibilità di un riscatto economico e sociale.
Ma già i sei mesi di permanenza nel campo profughi di Hallein in Austria spengono molte speranze e fin dall'inizio l'insediamento nelle fattorie boeme - conseguente a una premeditata espropriazione della terra ai legittimi proprietari da parte dello Stato Maggiore tedesco - diventa una magra consolazione e un aspettare gli eventi per poter al più presto far ritorno nella povera ma accogliente terra di Palù.
Il paese rinasce, ma la tragica esperienza - che colpisce più duramente le parti più deboli della popolazione, quali donne e bambini - lascia un segno che ancora oggi è palpabile.
Il dopoguerra rivede da subito l'emigrazione e anche in questo caso l'estero: Svizzera, Germania, Austria, ma ancora America e perfino Australia.
Nata come un fenomeno necessario, l'emigrazione nella seconda metà del XX secolo è diventata un vero e proprio dissanguamento nel caso dei due paesi di Frassilongo e di Palù, mentre Fierozzo sembra alla fine del secolo riuscire a contenere le perdite e lo spopolamento e anzi essere in grado di far tornare famiglie o giovani che in un primo tempo erano emigrati nel fondovalle.
Più articolata è la situazione del paese di Roveda, che dimostra a tutt'oggi una vitalità demografica e una tenuta sociale tutta particolare.

MINIERE E MINATORI

Le origini dell'estrazione mineraria in valle sono antichissime. Forni fusori preistorici sono stati scoperti in vari punti della valle, ma nell'intero arco alpino non è finora emerso un sito come quello del Passo Redebus, tra Palù del Fèrsina e l'Altopiano di Pine a 1450 metri di quota: una serie di forni e la relativa discarica di centinaia di tonnellate di scorie di fusione risalenti a 1.300-1.100 anni prima di Cristo.
La formazione geologica della valle ha favorito l'emergere di strati più profondi della crosta terrestre e quindi l'insinuazione nella roccia base di vene portatrici di metalli preziosi ricercati ed estratti dall'uomo. Tra questi minerali il maggior rilievo lo ha assunto senz'altro il rame, seguito dall'argento, dal piombo e dal ferro.
Non abbiamo certezze riguardo ai luoghi di estrazione della calcopirite per i forni del Passo Redebus, ma a partire dal 1.400 le miniere fioriscono un po' in tutta la valle, richiamando da altre aree minerarie come Schwaz nella valle dell'Inn o dalla Boemia imprese e minatori (in tedesco allora conosciuti con il termine di Bergknappen).
Il lavoro nelle miniere era particolarmente duro e legato ad alcune conoscenze specifiche: questo comporta una struttura ed un'organizzazione non vincolata dalla società esterna nella quale si trova ad operare. I minatori godevano pertanto di uno status giuridico proprio, avevano le loro corporazioni, un proprio Giudice minerario, uno stile di vita non legato alle stagioni e alla terra e così via. Tuttavia essi arrivano su un territorio già abitato e quindi sono costretti a convivere con le comunità locali preesistenti. Queste ultime non sono sempre felici di accogliere questi veri e propri cantieri, ma bisognerà adeguarsi: i signori territoriali (Principi-vescovi e Conti del Tirolo) hanno di che guadagnare dall'attività estrattiva e pertanto si concederà al Giudice minerario di sovrintendere ad esempio anche al bosco, necessario per le infrastrutture nelle gallerie ma soprattutto come combustibile per i forni fusori sempre più voraci.
Anche se il fermento è tutto sommato breve - già dopo il 1520 le attività subiscono un fortissimo rallentamento - l'attività mineraria si protrae per secoli, con un andamento altalenante dove nuove ricerche o l'estrazione di altri minerali (come il vetriolo per l'industria vetraia) si sussegue a periodi di crisi. Solo negli anni '60 del secolo scorso l'attività estrattiva cessa definitivamente.
Il capitolo delle miniere ha lasciato numerose tracce sia fisiche sul territorio che nell'immaginario collettivo. Il notevole trambusto che ha contraddistinto la valle in alcuni periodi, è rimasto vivo non solo nelle leggende e nei racconti per bambini, dove i soggetti principali sono i minatori, le miniere, lo Pèrgmandl e fiumi di oro, ma anche nell'immaginario collettivo dove uomini di lingua tedesca provenienti da lontano hanno estratto ricchezze inimmaginabili dal suolo mòcheno.

LA LINGUA MOCHENA

I coloni del Duecento venivano definiti a lungo nei documenti con il termine di "teutonici" o "alemanni". Possiamo pertanto ritenere senza margini di errore che la loro lingua fosse sostanzialmente la lingua tedesca dell'epoca. Naturalmente, data la diversità di provenienza delle varie famiglie, già allora non si sarà trattato di un unico idioma, ma comunque la reciproca comprensione almeno all'interno dei vari paesi, non è da mettere in discussione.
Nei secoli successivi, l'avvicendamento con famiglie di altra provenienza e quindi di altra lingua, abbiamo visto essere stato piuttosto scarso e pertanto per secoli non vi sono stati elementi in grado di far cambiare uso linguistico alla comunità mòchena.
Per giunta a partire dal Seicento, alcuni fattori probabilmente contribuiscono ad irrobustire la permanenza e lo sviluppo della lingua autoctona.
Chi emigra - se non si tratta di emigrazioni in massa - porterà si qualche elemento del proprio bagaglio culturale nel nuovo territorio, ma questo si ridurrà di molto nelle generazioni successive. Così la lingua mòchena altrove non è stata portata a nuova vita. È sostanzialmente diverso però il caso dell'emigrazione stagionale, dove nella storia mòchena centinaia di krumer (venditori ambulanti) nel loro hondl (commercio) entrano a contatto con altre popolazioni di lingua simile (tedesca) e ne riconoscono la effettiva utilità. Ecco che quindi questo elemento che contraddistingue la comunità mòchena per secoli diventa sotto certi aspetti un fattore culturale di insostituibile importanza, non solo dal punto di vista pratico, ma anche dal punto di vista del prestigio.
Per secoli poi, il mòcheno non è più l'unica lingua della valle, ma rimane la madrelingua. Infatti i rapporti di frequentazione con i paesi vicini portano presto alla necessità di imparare a comunicare anche nella lingua dell'interlocutore, e quindi in (dialetto) trentino.
Ciò che sicuramente porta con sé un cambiamento di stili è però quanto avviene dalla seconda metà del XIX secolo: la nascita dei problemi di stampo nazionalistico. Da questo periodo le curazie della valle vengono affidate a persone di lingua tedesca e i curati sono pure quasi sempre i maestri. La situazione non subisce grosse modifiche fino al passaggio - in seguito alla fine della Prima Guerra Mondiale - della nostra regione allo Stato italiano, allorché alla scuola tedesca viene sostituita immediatamente la scuola di lingua italiana. Entrambe le scuole non rappresentarono il modello confacente alla nostra comunità, però non si riuscì - e si stenta ancora oggi - a trovare un sistema scolastico che tenga in considerazione la nostra particolare situazione linguistica.
I profondi mutamenti dell'economia e la sempre maggiore invadenza dei mass media stanno portando ad un enorme calo di prestigio della lingua che per secoli è stata il patrimonio della nostra comunità, avendo come esito soltanto l'omologazione a un sistema ritenuto per lo più indifferibile. Partendo dal paese di Frassilongo, sempre più famiglie hanno abbandonato la madrelingua per adottare quella dei vicini, e il fenomeno si sta estendendo soprattutto a Fierozzo. Roveda e Palù sono i due paesi dove il mòcheno è la lingua usata dalla quasi totalità della popolazione, bambini compresi.
La legge provinciale del 1987 che istituisce l'Istituto culturale mòcheno - cimbro sancisce una decisa inversione di rotta: la Provincia autonoma di Trento, la Regione autonoma Trentino - Alto Adige e le istituzioni locali iniziano a prendersi carico delle problematiche per la tutela e la valorizzazione della minoranza linguistica mòchena, riconoscendo la necessità di interventi specifici. Gli ultimi quindici anni sono stati un susseguirsi di dibattiti, di interventi legislativi e anche di sostegno finanziario alle attività culturali che non hanno avuto precedenti nella storia della nostra comunità.
Grazie a ciò la lingua mòchena ha un suo ruolo nella scuola dell'Infanzia, mentre la scuola elementare e ancora di più quella media, stentano a rivestire il carattere della specialità a fronte di un percorso di certo non semplice. La storia non ha insegnato a sufficienza oppure l'uomo non impara mai e diventa reticente?

Fersental (Bersntol)-Valle del Férsina: Blick auf Palù-Palai

Fersental (Bersntol)-Valle del Férsina: Blick auf Palù-Palai

IL PRESENTE

È un'impresa che riesce a pochi, quella di riuscire in un ritratto di un paese o di una comunità nel tempo presente. Alla luce di ciò possiamo partire da due considerazioni:
1. la comunità mòchena è stata negli ultimi anni in fortissima evoluzione, che ora sembra un po' rallentare. L'economia tradizionale è in forte crisi e quasi dappertutto è ormai stata sostituita da pendolarismo, pubblico impiego, manovalanza. Solo poche persone - e molte di queste sono emigrate - sono riuscite a riscattare la propria posizione sociale e ad assumere un ruolo di rilievo nella società moderna. Conseguentemente a queste modifiche socio - economiche, anche la lingua mòchena sta subendo una forte pressione, sia per la sua affinità con il mondo rurale precedente, sia per il cosiddetto effetto globalizzazione.
2. L'ambiente e il paesaggio hanno visto per secoli adattamenti anche forti ma diluiti in periodi molto lunghi. Occorre ora agire in maniera oculata, in quanto la tecnologia offre la possibilità di realizzare in tempi brevi interventi anche di un certo impatto. Esiste poi - ma questi evidentemente non sono problemi solo della nostra comunità di montagna - il problema del rimboschimento conseguente all'abbandono agricolo di grandi aree. Accanto ad una consapevolezza sempre maggiore delle nuove generazioni di queste problematiche e del "fattore" culturale e linguistico, troviamo una sempre maggiore spinta verso la realizzazione di opere di musealizzazione. Indubbiamente l'economia di mercato stenta a decollare, forse perché molti valori come la lealtà, l'attaccamento alle tradizioni, lo spirito di sacrificio, la famiglia, ecc. sono molto presenti nel patrimonio genetico anche delle giovani generazioni.

LE TRADIZIONI

Sono diversi gli autori che si sono occupati delle tradizioni mòchene. Qualcuno in passato probabilmente si è pure inventato qualcosa, ma un esame completo e scientifico risulta piuttosto difficile. Purtroppo molti elementi sono ormai andati persi e così non è semplice trovare la chiave di lettura - ammesso che questa esista - di ciò che generazioni e generazioni ci hanno tramandato. Molti dettagli sono legati magari a poche persone e i ricordi non sempre sono limpidissimi.
Pure la religione esercita un forte influsso e con essa molti gesti e rituali si sono mescolati, subendone il destino.
Ma le principali - che hanno mantenuto caratteristiche straordinarie soprattutto a Palù - stanno assumendo la caratteristica di "lume" della comunità, esperienza legata alla propria essenza e quindi dimostrazione di esistenza e di identificazione.
La stèla viene cantata a Fierozzo e a Palù. Ai coscritti spetta il compito di abbellirla e di portarla di maso in maso nelle sere di S. Silvestro, Capodanno ed Epifania. Segue un gruppo di cantori costituito da uomini di tutte le età che intona i canti di stampo religioso facente parte del tradizionale repertorio del paese. Un incaricato di fiducia raccoglie le offerte che sono destinate alla celebrazione di S. Messe per tutti i defunti del paese o alle necessità della chiesa. Le famiglie attendono con ansia il passaggio del gruppo e della stéla, facendo pure un rapido esame di quanto è successo dallo stesso momento dell'anno precedente.
Il carnevale di Palù è un rito molto complesso. Due uomini impersonano il bètscho e la bètscha, mentre un terzo è l'oiartroger, chiamato anche teit. I tre personaggi sono scelti dai coscritti e possono pertanto essere persone diverse di anno in anno. Il loro compito inizia già il lunedì grasso, quando visitano le ragazze chiedendo informazioni sugli amori in corso e di preparare una torta che servirà il giorno successivo. Il mattino di martedì grasso il bètscho indossa un camicione di lino grezzo fissato in vita da una cintura con un campanello, un lungo cappello di pelle di capra biforcuto con dei nastrini alle estremità, un paio di pantaloni scuri, un paio di ghette e degli scarponi da lavoro. Completa il suo aspetto una gobba di paglia o fieno sotto il camicione, un grosso bastone con incavato in cima per contenere del colore nero del quale è dipinta l'intera faccia e le mani. La bètscha porta un vestito tradizionale da donna, calza un cappello da uomo con un rametto di abete in testa ed ha pure le mani e la faccia dipinte di nero. In mano ha uno scopino con il quale percuote lungo l'intero percorso la gobba del bètscho. L'oiartroger ha un elegante vestito scuro da uomo con motivi carnevalizi, un bastone variopinto in mano e una kraks con una cesta di segature per raccogliere le offerte in uova sulle spalle.
Sull'uscio di ogni maso i due bètsche seminano prosperità e un buon raccolto personalizzato agli abitanti della casa e poi - completate le case di un gruppo di masi - in un'osteria inscenano a turno la propria morte. Il compagno rimasto in vita legge il testamento che si traduce in una rielaborazione goliardica delle notizie sulle coppie raccolte il giorno precedente. Alla "rinascita" del bètscho segue un ballo e la morte della bètscha a scene invertite. Prima di passare al gruppo di masi successivo, in un punto prestabilito vengono distribuite ai presenti le torte e da un punto elevato gettate nei prati le padelle. Quando ormai si è all'imbrunire, visitati tutti i masi lungo il percorso, letto l'ultimo testamento e distribuita l'ultima torta, si procede a finire il carnevale bruciando in un piccolo rogo la gobba del vecchio e i testamenti, mentre viene acceso dai bambini un grande falò vòschn accompagnato da un assordante scampanellio.
I percorsi di Stèla e carnevale sono tradizionali e subiscono lievi modifiche soltanto in occasione di nuove abitazioni sorte nel frattempo nei pressi del percorso.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Atti del convegno La Valle del Férsina e le isole linguistiche di origine tedesca nel Trentino, S. Michele all’Adige (TN), Museo degli Usie Costumi della Gente Trentina, 1978
A. Gorfer, F. Faganello, La Valle dei Mòcheni, Calliano (TN), Manfrini, 1970
S. Piatti, Palù Palae frammenti di storia, Palù/Palae del Fèrsina (TN), Comune, Istituto culturale mòcheno cimbro, 1996.
R. Morelli, Identità musicale della Valle dei Mòcheni, S. Michele all’Adige (TN), Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, Palù del Fèrsina (TN), Istituto culturale mòcheno cimbro, 1996.