Dal libro "Isole di cultura"

Luserna / Lusérn -

Zimbrische Gemeinschaft im Trentino

PRESENTAZIONE GEOGRAFICA

Lusérn-Luserna: das Dorf, gesehen von

Lusérn-Luserna: das Dorf, gesehen von "Hüttn" aus

Luserna, comunità alloglotta trentina, si trova sul confine centromeridionale di un grande altipiano che si snoda nelle zone di Folgaria e Lavarone, e di lì al Passo Vezzena (1402 m. s. m.) dove, attraverso la stretta forcella della Valle dell'Assa, si arriva fino ai vicini Sette Comuni di Asiago. Il territorio, caratterizzato da terrazzamenti naturali, si protrae sulla sottostante Valle dell'Astico creando profonde valli e strapiombi con dislivelli che raggiungono i seicento metri. Orograficamente i suoi confini naturali sono segnati dal solco della Val Torra ad est e dal Rio Torto all'estremità opposta. La superficie dell'altopiano è circa di 20 Kmq ma, attualmente, solo otto di questi - compresi tra le quote di 1200 e 1550 m.s.m. - appartengono amministrativamente alla comunità in questione. I restanti dodici sono frammentati tra i molti comuni che in questa zona godono diritti di proprietà: particolarmente esteso è il territorio di Levico Terme, il quale detiene gran parte delle Vezzene, seguono poi Caldonazzo con Monte Rovere e Lavarone con Millegrobbe e Laghetto. A sud il paese confina anche con Pedemonte e Casotto, entrambi situati ai piedi della montagna. La morfologia del paesaggio fa sì che la zona sia moderatamente ondulata e che le cime superino difficilmente i duemila metri d'altezza.
L'insediamento si costituisce di soli due nuclei: Luserna (a 1333 metri di quota) si snoda su di un piccolo lembo di terra pianeggiante che si estende da levante a ponente, a cavallo del cosiddetto Tal von San Antone, e Tezze (collocato a 1288 m. s. m.) in una valletta ad ovest del nucleo principale. La sua struttura è quella del classico Strassendorf , vale a dire un paese che si sviluppa lungo una strada, mentre, sull'altura a monte dell'abitato, in un intervallo pianeggiante nel versante della montagna, si trovano gruppi di edifici isolati denominati Hüttn (Baite).
Oltre il crinale di Malga Campo, in una valletta a monte delle sorgenti della Torra, si trovano i tre nuclei del "villaggio estivo" di Bisele: Untarhaüsar (Case di sotto), Obarhaüsar (Case di sopra) e Galen (soprannome di una famiglia locale).
Tradizionalmente le vie di comunicazione che congiungevano il piccolo altopiano con gli altri villaggi sparsi nella zona erano poche ed in cattive condizioni. Fino a metà Ottocento la via più importante era quella che, scendendo i dirupi sottostanti il paese, arrivava a Brancafora: era semplicemente un sentiero, spesso impraticabile durante l'inverno per la sua pericolosità. Il collegamento con Passo Vezzena, e di lì con Asiago, era invece assicurato dalla strada che salendo lungo l'Eck (storica contrada del paese) portava verso Cost'Alta. La strada per Lavarone, quella che oggi è la principale via di collegamento con il fondovalle, fu realizzata solo tra il 1882 ed il 1885 . Ai primi del Novecento fu costruita la carrozzabile che da Monte Rovere conduce a Caldonazzo.
L'aspetto dei territori che circondano Luserna è fortemente segnato dalla mano dell'uomo: vi si leggono i tentativi e gli sforzi compiuti per recuperare ogni metro di terra. L'elemento architettonico più forte è la pietra, usata per terrazzare campi e orti, consentendone lo sfruttamento e ampliando le risorse nonostante l'elevata pendenza di certi luoghi (soprattutto a valle dell'abitato). Le zone più pianeggianti, segnate anch'esse da una fitta rete di mura a secco - questa volta per demarcarne le proprietà - erano invece utilizzate a pascolo.
Luserna è subito individuabile come una comunità di alta montagna e l'influenza dei suoi milletrecento metri di quota non è da sottovalutare: nei mesi più freddi dell'anno a ciò si aggiunge anche l' Obar-bint (vento proveniente da nord) che, non trovando ostacoli al suo percorso, investe il paese. Dall'altra, l'inclinazione a sud-ovest di questa grande terrazza calcarea e la particolare ampiezza d'orizzonte rispetto alle montagne di fronte fanno sì che l'insolazione sia la massima possibile.
Le precipitazioni sono abbastanza buone, aggirandosi sui 1200 mm/annui .
La vegetazione si caratterizza per essere costituita principalmente da boschi misti, con essenze legnose a foglia caduca e conifere; particolarmente diffusi sono il faggio, l'abete - nelle varietà rosso e bianco - e il larice.

CONSISTENZA DELLA COMUNITÀ

Le comunità alpine sono realtà umane che richiedono prospettive d'analisi proprie e che spesso esulano dalle logiche e dai presupposti adottabili per gli altri aggregati umani.
Ogni comunità alpina vive, per sua natura, in un contesto di precarietà e di ricerca di equilibri eternamente a rischio ed in questo contesto ogni minima variazione della realtà entro cui è inserita può turbarne lo stato.
In netta contraddizione con il pensiero comune, che vede l'alta montagna come un luogo in cui tutto avviene lentamente ed in cui le grandi correnti della storia hanno influenza modesta, la montagna ha sempre vissuto in una sorta di grande frenesia al cambiamento.
Quando si pensa ai villaggi alpini è un grave errore credere che si tratti di comunità assopite ed immutabili in cui tutto continua identico da secoli; la realtà è spesso l'opposto di ciò che può pensare l'uomo della strada.
Le comunità alpine nascono, si sviluppano e crescono, oppure regrediscono e muoiono, in tempi da cronaca e non inevitabilmente da storia.
Luserna-Lusérn ha vissuto inevitabilmente questa mutevolezza.
Nata come comunità rurale tra il XIV ed il XV secolo da famiglie di contadini trasferitesi dalle vicine comunità germanofone dell'altopiano, dai pochi masi documentati alla fine del Cinquecento , cresce i si sviluppa in modo molto veloce, quasi anomalo, fino alla Grande Guerra .
Stando alle registrazioni ecclesiastiche , dai circa 200 della metà del Settecento, la comunità di Luserna-Lusérn arriva ai 1055 abitanti nel periodo tra il 1919 ed il 1921.
A seguire un inesorabile trend di calo: lento, ma costante, fino alle Opzioni del 1942 e più accelerato nei decenni successivi.
Rispettivamente nel 1960 e nel 1980 la comunità contava 654 e 427 residenti .
Oggi - ottobre 2004 - dagli estratti anagrafici comunali risultano 290 persone, delle quali non tutte sono stabilmente domiciliate nel comune cimbro.
Considerando che l'andamento negativo continua tutt'ora e che l'età media della popolazione di Luserna-Lusérn è molto elevata , in prospettiva futura (ma nemmeno poi molto) questo calo costante di popolazione pone importanti interrogativi sulle prospettive di continuità della comunità linguistica stessa.

STORIA DELLA COLONIZZAZIONE CIMBRA

Stando ai resti pervenuti di fusioni metalliche risalenti al 1200 a.C., queste alture risultano già abitate in età preistorica, ma circa l'origine e la consistenza di questi primi coloni ci è dato di sapere ben poco. Si è sicuri che in un periodo successivo la zona fu colonizzata da genti tedesche, le quali si insediarono in un vasto territorio - comprendente l'intera area montuosa compresa tra i fiumi Adige e Brenta - in cui, fino a circa due secoli fa, si trovavano oltre ventimila persone che usavano l'idioma centro-europeo. Oggi Luserna rappresenta l'ultima isola in cui si parla ancora correntemente il "cimbro", lingua che M. Hornung ha classificato come la più antica parlata periferica esistente nel dominio linguistico tedesco .
Per molto tempo studiosi e ricercatori si sono interrogati sull'origine di queste colonie alloglotte, producendo risultati spesso contrastanti ed in taluni casi estranei ad ogni rigore scientifico.
Lo stesso Wilhelm Baum, autore di uno dei più brillanti ed illuminati studi su questa tematica , afferma: esistono solo pochi capitoli nelle storie della zona alpina sui quali nel corso dei secoli è stato costruito un tal numero di false ipotesi come sui così detti "Cimbri" .
Questo gran nascere di teorie è stato però stimolato dal fatto che, come osserva Pedrazza nell'appendice storica al suo saggio sulle minoranze germanofone, nel corso della storia la nostra penisola è stata oggetto di molte invasioni da parte di popoli che provenivano da zone più settentrionali dell'Europa.
L'autrice sostiene la possibilità di realizzare tre grandi raggruppamenti:
1. il primo è costituito sicuramente dai Cimbri, un'antica popolazione proveniente dalla penisola dello Jutland e sconfitta nel 101 a. C. dal console Mario ai Campi Raudi, presso Vercelli.
Per molto tempo si è pensato che le popolazioni tedesche insediate sulle alture di cui fa parte anche Luserna fossero le eredi dei superstiti, rifugiati sulle montagne, di quest'antico popolo di guerrieri. Il primo grande caposcuola di questa teoria fu Marco Pezzo; questi verso la metà del 1700 elaborò una teoria che trovava conferma nel fatto che in alcuni antichi scritti, tra cui la "Historiae" che Ferretto dei Ferretti pubblicò nel 1330, la città di Vicenza - situata alle porte dei territori in questione - era definita Cymbria . Tuttora i germanofoni di queste montagne sono definiti, seppur erroneamente, Cimbri.
2. Un secondo gruppo può essere costituito dalle grandi ondate di popolazioni barbariche che, dal IV-V secolo in poi, segnarono profondamente il continente. Tre sono più significative delle altre nell'ambito dei territori in questione: per primi arrivarono gli Ostrogoti di Teodorico (488-553), seguirono i Longobardi con Alboino (568-774) ed infine i Franchi guidati da Carlo Magno nel 774.
Circa il loro numero, l'entità non è da sottovalutare, poiché i soli Longobardi superavano i duecentomila.
Tale impostazione teorica sembra attualmente essere stata superata, anche se ancora nel 1978, Alfonso Bellotto, nella prefazione a "I Racconti di Luserna", scriveva: "Ma è egualmente possibile che queste isole di lingua ‘tedesca' siano i resti di longobardi non romanizzati "
3. L'ultimo gruppo è quello che raccoglie i nuovi coloni giunti per opera di monasteri ed istituti religiosi a partire dall' VIII secolo.
In questo periodo nacquero nuovi insediamenti rurali basati su di un miglior utilizzo delle terre, o la loro estensione, spesso operata da coloni provenienti da altre zone; in particolar modo dopo l'anno Mille si assistette ad un ciclo di bonifiche e disboscamenti attuati per opera dei monaci. In questo contesto si situano molti documenti circa l'arrivo di popolazioni tedesche per colonizzare aree disabitate delle Alpi.
Un'ulteriore proposta sull'origine dei cosiddetti Cimbri ci viene da Agostino dal Pozzo , il quale, secondo una sua classificazione, proponeva sette antiche popolazioni come possibili ceppi originari dei tedescofoni dei Sette e dei Tredici Comuni :

- Reti (o Celti-Teutoni),
- Cimbri,
- Tigurini svizzeri,
- Alemanni,
- Unni,
- Goti,
- tardi coloni tedeschi.

La svolta decisiva sull'interpretazione della colonizzazione cimbra si ebbe con la scoperta da parte di Johannes Andreas Schmeller di un documento del XI secolo; in esso si afferma che nel decennio successivo al 1053 delle famiglie provenienti dalle zone limitrofe al convento di Benediktbeuern in Baviera si spostarono, a causa di una carestia, verso il convento di S. Maria in Organo a Verona. Questo poneva sotto una nuova luce i rapporti che avevano collegato nella loro storia i due conventi, nonché i legami del primo con la città scaligera. Risultava, infatti, che dal 1036 Verona fu guidata dal vescovo bavarese Walther e che presso il convento di S. Maria vi era l'abate Engelberto proveniente proprio da Benediktbeuern.
Le famiglie a cui il documento rinvenuto dallo Schmeller si riferisce si stanziarono sull'altopiano dei futuri Tredici Comuni, dove vi erano possedimenti del chiostro veronese.
Circa nello stesso periodo arrivò dalla Germania anche la potente famiglia degli Ezzelino, che ebbe per capostipite Hezilo: in seguito ad una gratifica dall'imperatore Konrad II, Hezilo entrò in possesso di terreni ad Onara e a Romana, vicino Bassano - a ridosso di ciò che poi diverrà l'altopiano dei Sette Comuni. Probabilmente questa famiglia iniziò un'opera di colonizzazione con gente portata dalla Baviera .
Per quanto concerne l'area trentina della colonizzazione cimbra, il ruolo principale va attribuito all'opera di Federico Vanga, principe e vescovo di Trento dal 1207 al 1218. Anch'egli di origine tedesca, acquistò dei territori montuosi a sud-est della città di Trento: nel 1208 comperò dal nobile lagarino Enghelberto da Beseno la metà del suo castello nonché i suoi possedimenti sul monte di Folgaria, mentre otto anni più tardi entrò in possesso delle proprietà di Costa Cartura, presso Folgaria, precedentemente appartenute ai Caldonazzo .
Il progetto di Federico era la colonizzazione delle zone disabitate ad est dell'Adige e per raggiungere lo scopo utilizzò le popolazioni tedesche della montagna veronese e vicentina.
Per incentivare il fenomeno di antropizzazione, diede ad Enrico ed Ulrico da "Posena" il terreno denominato Costa Cartura affinché fossero edificate 20 o più fattorie. Chi avesse accettato di stanziarsi in tale località avrebbe ricevuto un finanziamento di sette lire veronesi e l'esenzione dal pagamento delle tasse per alcuni anni .
Tali territori non erano del tutto disabitati (Folgaria ad esempio già esisteva) e lo stesso Schmeller notò come in alcune località vi fu una sovrapposizione a popolazioni neolatine. Secondo il germanista bavarese, questo si intravede - un po' come in Tirolo - nella toponomastica, dove i termini più antichi non sono tedeschi .
In un documento del 1257 compare per la prima volta il nome di Lavarone e nel 1424 compare già la dicitura tedesca "Perg Lafraun" .
Oltre a Lavarone/Lafraun, nacquero Terragnolo/Laimtal, Vallarsa/Brandtal e probabilmente per ultima Luserna/Lusérn.

DALLA NASCITA DELLA COMUNITÀ DI LUSERNA ALLA FINE DELL'OTTOCENTO

Con riferimento specifico a Luserna, il suo nome probabilmente deriva dal toponimo Laas: valico che permette da qui di raggiungere la Valsugana.
Nel Medioevo le valli di questo settore del Trentino furono percorse dai pellegrini provenienti da nord per arrivare al porto di Venezia e di lì proseguire in nave verso Gerusalemme.
Già nel secolo X risulta l'esistenza di un "Ospitale" condotto dai Templari, presso Brancafora, ai piedi della montagna. Nei periodi in cui - a causa di possibili piene del torrente Astico e degli impaludamenti della Bassa Valsugana - le vie principali si erano fatte pericolose, era possibile percorrere il sentiero che porta a Monte Rovere salendo da Caldonazzo, per poi discendere l'altipiano lungo la sua estremità meridionale. Vi è quindi la possibilità che questo passaggio di pellegrini, assieme ad altri e ben più complessi fattori, abbia influenzato qualche forma di stanzialità. Il primo riferimento esplicito a Luserna arriva però solo nel XV secolo, quando in un contratto di compravendita risulta che:
"Sabato 27 gennaio 1442, indizione quinta, a Caldonazzo, in stupa della casa di ser Tomaso Graiff capitano ed amministratore dei beni del castello di Caldonazzo, alla presenza di ser Bartolomeo fu ser Alberto Puti da Caldonazzo, di suo figlio Leonardo, di Gaspare figlio di ser Bertoldo da Lavarone e di Nicolusso fu Bertoldo da Lavarone, ser Biagio fu ser Brigento da Luserna abitante ad Asiago disse di essere stato pagato, e di essere totalmente soddisfatto, da Tomaso detto Graiff capitano e amministratore (rectore bonorum omnium) del castello di Caldonazzo a nome dell'illustrissimo principe e signore signor Sigismondo duca d'Austria, Stiria e Carinzia e Carniola, conte del Tirolo e avvocato e difensore della Chiesa di Trento, e degnissimo Signore e governatore nelle cose temporali, del debito di 55 ducati d'oro che il detto duca Federico (sic) era obbligato verso il predetto Biagio in forza della compera di quattro masi situati a Luserna come appare dal documento di locazione scritto di mia mano notaio Negrello".
Questo documento accerta che alla metà del 1400 Luserna esisteva già ed era costituita da masi. Questi masi erano probabilmente abitati da tedeschi, tanto che lo stesso Biagio, abitante ad Asiago, territorio germanofono oggetto della prima colonizzazione cimbra, vi detiene una significativa proprietà. Di qui in avanti la nostra località apparirà più volte nei carteggi dei dinasti di Caldonazzo e negli atti riguardanti le comunità della zona: nel 1471 il conte Giacomo del casato dei Trapp, definendo i confini con l'altopiano dei Sette Comuni, chiamò presso la Magnifica Corte alcuni testimoni; questi dichiararono che Luserna era sempre stata sotto la giurisdizione di Caldonazzo .
Il primo documento in cui si parla dell'origine dei suoi abitanti risale circa al 1454: vi si afferma che un gruppo di contadini, provenienti da Lavarone, si stabilirono sul monte di Luserna come livellatari della Parrocchia di S. Maria di Brancafora . Risulta che il territorio del citato monte appartenesse alla chiesa sita nella sottostante valle dell'Astico. Da alcuni resoconti appare che S. Maria, oltre alla canonica, ad un maso a nord di Lavarone e a beni nelle zone di Caldonazzo, Levico, Breganze e Cogolo, possedesse anche: "il diritto di decima su tutti i terreni inclusi nei confini giurisdizionali della parrocchia che vanno dai Tre sassi sotto i Piccoli, alla cima Melijon, alla valle della Tora, a Vezzena, alla Sbant di Luserna, ai repari del Riotorto. In sostanza tutti i terreni dell'alta valle dell'Astico, Luserna e Lastebasse comprese. All'interno di questi confini ci sono i masi di Carotte, Ciechi, Longhi e Scalzeri, Casotto, Posta e Montepiano e Luserna."
In relazione alla piccola comunità cimbra, si menzionano le malghe Bisele e Campo - che pagano trentasette lire di decima l'anno - ed i masi Hoseli e Nicolussi posseduti da Gasperi e Nicolussi.
Il conte Caldogno, in una sua relazione del 1598, descrive Luserna come un paesello con circa 40 fuochi, lungo più contrade e con circa cento anime.
Per delineare le connotazioni che Luserna stava gradualmente assumendo già a partire dal XVI secolo, interviene anche padre Piatti, il quale rileva l'importanza di un documento del 1561, con il quale si affitta un maso in località Casotto alla Torà.
Tale atto mette in luce due aspetti rilevanti:
- nel documento è usata l'espressione iura Lusernae, fatto che sta ad indicare che tale comunità in quel periodo aveva già raggiunto un certo grado d'indipendenza ed autonomia, possedendo redditi e diritti propri (iura).
- la chiesa di S. Maria è definita come nelle "pertinenze di Lavarone". Se ne ricava che all'epoca l'estensione amministrativa di Lavarone comprendeva anche gli abitati di Brancafora, Casotto e Luserna.
Tra il 1610 ed il 1640 è da segnalare che gli abitanti del villaggio ottennero dai conti Trapp dei terreni da porre autonomamente a coltivazione .
Luserna visse fasi alterne di autonomia e di dipendenza rispetto alle comunità limitrofe.
Spesso visse un rapporto conflittuale a causa della definizione delle proprietà con la vicina Lavarone, alla quale venne incorporata nel 1710 per volere del conte Trapp in funzione di una migliore difesa dei confini tirolesi . A seguito di numerosi scontri e rivendicazioni, nel 1780 Luserna ottenne nuovamente l'indipendenza amministrativa. La separazione tra le due comunità non fu priva di problemi in relazione alla ripartizione delle proprietà collettive: secondo i luserni, infatti, i territori a loro assegnati con la separazione erano inferiori a quanti da loro erano sempre stati utilizzati e goduti.
Ben più recentemente (1912-1920) è la grossa perdita di gran parte dei territori scoscesi situati a valle dell'abitato e avvenuta in seguito ad una lunga disputa tra Pedemonte e Luserna circa i diritti di legnatico.
Questa in particolar modo segnerà fortemente la disponibilità di terreno per le pratiche agricole e silvo-pastorali, nonostante gli sforzi di questa amministrazione di acquisire nuovi territori anche attraverso il loro acquisto.
Quanto all'autonomia sul piano religioso, Luserna rimase formalmente dipendente da S. Maria di Brancafora fino al 1934, anno in cui divenne parrocchia.
Il tentativo di rendersi indipendente aveva alle spalle una lunga storia: Luserna costituiva la comunità più lontana dalla parrocchiale, vi erano circa ottocento metri di dislivello da compiersi lungo un sentiero percorribile quasi solo a piedi e che scendeva i precipizi. Da un atto visitale del 1647, risultava che il sacerdote si era munito di un cavallo "perché il viaggio era difficile in causa delle vie sassose e dei dirupi, e perché le famiglie distavano dalla chiesa assai".
Era quindi evidente che a lungo andare i disagi di questa gente sarebbero sfociati in rivendicazioni che, nel 1711, portarono il vescovo ad autorizzare la costruzione a Luserna di un "pubblico oratorio" dedicato a S. Giustina. I documenti dell'epoca aggiungono che tale opera fu realizzata a spese proprie di quei montanari e con le elemosine che questi raccolsero; quattro anni più tardi si autorizzò la benedizione di quella chiesa .
Tale operazione non piacque a don Tamanini, parroco di S. Maria, il quale vedeva in ciò il rischio che nascessero i presupposti per la scissione delle due comunità.
Per risolvere l'annosa questione intervenne il decano della cattedrale di Trento, arrivando il 16 maggio 1717 ad un accordo tra le parti, di cui si riportano i punti salienti:
- il sacerdote di Luserna poteva essere scelto dai membri di quella comunità ma per la sua elezione il parroco aveva diritto di veto;
- la cura d'anime poteva venire svolta solo in rapporto di dipendenza con la chiesa madre;
- il medesimo sacerdote non poteva esercitare funzioni per cui non aveva ottenuto il permesso dal parroco;
- le spese relative a quest'istituto dovevano rimanere a spalle dei Luserni;
- l'oratorio era concesso per comodità di partecipazione alla messa e non doveva in alcun modo essere inteso come strumento di frattura della parrocchia.
Nel 1744 furono chiesti un battistero ed un cimitero e l'anno dopo il paese ottenne entrambi.
Gli eventi più drammatici per questa comunità appartengono alla storia recente.
L'Ottocento, secolo di grandi opere e grandi progressi, portò con sé anche il colera: nelle calde estati del 1836 e del 1855 il Trentino fu flagellato da quest'epidemia, causa di ben dodicimila decessi. A Luserna, solo durante la seconda di queste epidemie, dal 10 agosto al 22 settembre, il morbo fece ventitré vittime.

IL NAZIONALISMO NELLE ISOLE LINGUISTICHE CIMBRE TRENTINE FRA XIX E XX SECOLO

"La prima scuola è un'impresa culturale e politica anche quando è eretta da una nazionalità A in un villaggio analfabeta facente parte di una nazione B e quando l'ulteriore obiettivo dell'impresa consistesse nell'estraniare col mezzo della scuola la comunità del villaggio alla nazione B per acquisirla alla nazione A. Ogni scuola merita, innanzi tutto, che la si rispetti. E ogni organizzazione che si pone al servizio della formazione culturale ha il diritto di pretendere che si riconoscano e si rispettino le sue opere" .
Con queste parole Gatterer, in un libro molto emblematico, ci introduce all'argomento di queste pagine, il nazionalismo nelle oasi tedesche del Trentino meridionale e nella fattispecie sugli Altipiani, rammentandoci che proprio la mancanza di questo rispetto verso un bene supremo come l'istruzione, causò spesse volte ostilità e contrasti dannosi in quelle comunità che più di altre avevano bisogno di aiuto.
Il nazionalismo che accompagnò l'espansione culturale nelle isole linguistiche del Trentino prese forma concretamente a partire dalla metà del XIX secolo; in questo periodo si erano consumati eventi piuttosto significativi. Nel 1866 l'Austria fu costretta a cedere il Veneto all'Italia dopo una sfortunata guerra con la Prussia e questo, fra l'altro, comportò il pericoloso avvicinamento dei confini all'Altopiano che divenne, in effetti, teatro di guerra nel '15. Il 1867 fu l'anno del Compromesso fra Austria e Ungheria, dopo un periodo di assolutismo fallimentare, un nuovo corso liberale che, almeno sulla carta, avrebbe garantito più autonomia e diritti alle varie nazionalità dell'impero anche in termini linguistici nelle scuole e nelle amministrazioni .
E' del 1869 la legge quadro sull'istruzione elementare che, oltre ad alzare fino a 14 anni l'età scolastica e a provvedere alla formazione dei maestri attraverso i nuovi istituti magistrali, si sforzò di ridimensionare il potere ecclesiastico in questo campo, ma con scarsi risultati in Tirolo, regione fortemente cattolica e conservatrice, dato che il parroco mantenne il diritto di insegnamento religioso e nelle piccole comunità rimaneva l'indiscusso portavoce fra autorità e popolo grazie al prestigio derivante dalla sua cultura e dal carisma del pulpito. Inoltre aveva voce in capitolo nell'Ortsschulrat, ovvero il consiglio scolastico del comune, il quale provvedeva all'amministrazione e al finanziamento delle stesse scuole . Un'altra data epocale fu il 1871: dopo aver pesantemente sconfitto la Francia, la Germania divenne una realtà e questa nuova nazione in forte ascesa si avviò, nell'epoca del Kulturkampf, ad esportare la propria cultura ed il proprio nazionalismo oltreconfine, come vedremo fra poco. Infine il 1882: i due nemici giurati, Austria e Italia, firmarono assieme alla Germania un patto di alleanza militare che inizialmente spiazzò i circoli irredentistici italiani e trentini; in realtà dietro le benevole rassicurazioni dei ministri e degli esponenti politici, le attività irredentistiche si intensificarono e nessuno si illudeva che una resa dei conti fra i due stati fosse inevitabile. Non deve perciò stupire che l'Altopiano si preparasse anzitempo con una serie di fortificazioni già in efficienza nel '15.
E' in questo contesto, dunque, che fiorì tutta una serie di associazioni, non solo in Austria, ma anche in Germania e Italia, che iniziarono a guardare con interesse a quelle comunità, situate sotto Salorno, ove si parlavano abitualmente dialetti di ceppo germanico, residui miracolosamente intatti di antiche colonizzazioni medioevali.
Questo fenomeno fu preceduto da un'intensa pubblicistica che mobilitò studiosi da una parte e dall'altra incaricati, attraverso trattati di carattere storico, linguistico, archeologico e glottologico, di dimostrare tesi opposte, in altre parole che il Tirolo del sud fosse popolato da tribù reto-germaniche colonizzate dai latini, oppure che la colonizzazione germanica, poi quasi del tutto assorbita, avvenne solo nel medioevo. E' ovvio che queste isole linguistiche, uscite incolumi dalle nebbie della storia, avessero un interesse scientifico di primo piano per il semplice fatto che servirono (grazie alla lingua, ai costumi e ai toponimi) ad avvalorare tesi e a smentirne altre .
Da parte tedesca abbiamo le seguenti associazioni: il Deutscher Schulverein fondata a Vienna nel 1880, aveva il compito di promuovere asili e scuole germaniche nelle isole tedesche, era appoggiata dalla Allgemeine Deutscher Schulverein tedesca e dal governo austriaco (arrivò a contare 200.000 soci ), il Verein für das Deutschum im Ausland o VDA (Associazione per il germanesimo all'estero) fondato a Monaco nel 1881, lo Schutzverein Südmark fondato a Graz nel 1889 che si occupava di ripopolare le zone considerate tedesche in Tirolo tramite l'acquisto di terreni per contadini tedeschi e promuovendo prodotti nazionali (è chiara l'importanza che questa associazione riservò alle delicate zone di confine), infine il Tiroler Volksbund, l'associazione più incisiva e avversata.
Fondata a Vipiteno nel 1905 (era presente anche il parroco di Luserna), fu un'associazione velatamente protestante e smaccatamente pangermanista come dimostrò il suo motto: "Il Tirolo ai tirolesi, da Kufstein fino alla Chiusa di Verona" che aveva come punti fermi la protezione, ma anche l'espansione, della cultura, della lingua, dei costumi e della nazionalità delle popolazioni tedesche in Trentino tramite l'erezione di scuole, chiese e favorendo rapporti di natura economica .
Queste associazioni sorelle erano in intima connessione tra di loro, agendo spesso di concetto e avendo al loro interno gli stessi dirigenti, i loro interventi concreti andavano dal finanziamento di ingenti somme di denaro alla semplice fornitura di materiale didattico e pacchi natalizi nei luoghi coinvolti.
Il modo di procedere della controparte italiana, per la verità, non differiva affatto, così come affini erano gli intenti ed i programmi: la difesa della nazionalità italiana e, se possibile, la sua espansione. Anche in questo caso le associazioni erano diverse: la Pro Patria sorse nel 1886 a Rovereto, la Dante Alighieri nata nel 1889 a Roma, la Lega Nazionale sostituì la Pro Patria nello stesso anno in cui quest'ultima fu sciolta da autorità, nel 1890 e, per finire, la società Trento Trieste sorta a Venezia nel 1902. La Pro Patria nacque come reazione alla penetrazione culturale e linguistica tedesca nel Trentino e fu concepita e diretta da una cerchia di benestanti e borghesi di chiara estrazione liberale . Il partito liberale giocò un ruolo chiave in questa battaglia quale espressione di quel ceto borghese cittadino che deteneva l'autorità politica grazie ad un sistema elettorale che fino al 1907 si basò sul censo e che era depositaria di idee fortemente nazionalistiche se non addirittura irredentistiche . Fu un movimento che naturalmente intrecciò stretti rapporti con esponenti politici, intellettuali e associazioni di estrazione italiana. Una di queste associazioni, la Dante Alighieri, non nascondeva la propria vocazione e le proprie mire nei suoi programmi:
"Sorta nel 1889 questa associazione promuove scuole e biblioteche anche fuori dal Trentino. Oppone resistenza alle Società di propaganda rivali: le due Schulverein (tedesca e viennese), la Südmark (che vuole scendere fino a Verona), il Volksbund"
Fu per l'appunto questo legame che portò allo scioglimento della Pro Patria accusata dalle autorità austriache di irredentismo. La società che la sostituì, la lega nazionale, ne ereditò i compiti, ma prese la precauzione di tenere segrete le relazioni oltre confine.
Gli scopi della Lega erano speculari a quelli dello Schulverein, ovvero la difesa della lingua italiana tramite la costruzione di scuole, asili e biblioteche, finanziandosi attraverso le contribuzioni dei soci, conferenze o la vendita di oggettistica varia, anche se incentivi arrivavano anche dall'Italia. Prima di esaminare qualche caso specifico vale la pena ricordare che nel panorama Trentino dell'epoca, questa contrapposizione fu molto conosciuta e sentita, arrivando a coinvolgere personaggi influenti. E' il caso, ad esempio, del vescovo di Trento (dal 1904) Endici. Difese a spada tratta l'operato della Lega, alienandosi l'opinione pubblica tedesca, non tanto per motivi nazionalistici, quanto per motivazioni religiose e sociali insistendo sul fatto che la penetrazione pantedesca minacciava di turbare tradizioni e legami nelle comunità rurali e paventando il rischio che queste isole diventassero teste di ponte per la religione protestante .
Il telegramma inviato il 17 settembre 1911 agli studenti universitari riuniti a Levico che metteva in guardia dalla prepotenza volksbundista suscitò scalpore e dure recriminazioni. Dello stesso avviso anche il cattolico De Gasperi, deputato dei popolari, che dalle pagine del giornale dal titolo significativo "Il Trentino" si occupò delle lotte nazionalistiche in Trentino (cita gli Altipiani in un articolo del 10 aprile 1906) colpendo duramente il Volksbund. Tuttavia il fautore del nazionalismo positivo intravedeva nel risanamento economico di queste vallate e nell'autonomia la cura che avrebbe allontanato il pangermanesimo dal Trentino: intuì che la lotta culturale celava aspetti sociali ed economici profondi, ma le soluzioni proposte segnano la barriera che separava cattolici e liberali sul problema .
Curiosamente anche un altro grande personaggio del tempo, Battisti, vide nel progresso materiale e nell'aumento delle infrastrutture una possibile via di fuga alla questione in un libricino dedicato agli Altipiani edito dalla Lega Nazionale nel 1909 e il cui ricavato era destinato alle scuole filo italiane del posto . Nonostante le differenze politiche anche i socialisti di tanto in tanto appoggiarono le iniziative liberali in questo campo, lo stesso Battisti era socio della Lega . Nel medioevo si era susseguita una serie di migrazioni proveniente dai paesi tedeschi composta da minatori, contadini, roncadori e boscaioli che investì e vivificò una vasta zona comprendente i 13 comuni veronesi, i 7 comuni vicentini, gli Altipiani, il Perginese e la Valle del Férsina. Nel corso del tempo questo territorio era stato ampiamente italianizzato tanto che sul finire del XIX secolo solo pochi villaggi, a causa dell'isolamento, mantenevano il cimbro come lingua corrente .
Una delle accuse più ricorrenti rivolta ai pangermanisti riguardò l'intromissione forzata in quei paesi che erano italiani a tutti gli effetti. Un caso tipico è quello di Lavarone che, probabilmente, era sugli Altipiani il comune più italianizzato come si può constatare da un articolo de "Il popolo trentino" del 1889:
"(...)quando per non tacer di altri paesi, il municipio di Lavarone ha dato l'esempio generoso di rifiutare con nobile gesto il vistoso legato offertagli per l'impianto di scuole tedesche in quell'alpestre villaggio" .
Ad ogni modo furono proprio i tedeschi a fare il primo passo. Nel 1873 il barone von Biegeleben di Vienna fornì la somma di un milione e settecentomila fiorini al ministero dell'istruzione affinché si fondassero scuole popolari di lingua tedesca a S.Sebastiano, Serrada, Nosellari, Lavarone, Luserna, Brancafora e Casotto .
A Luserna, come a S. Sebastiano, il cimbro si era mantenuto intatto e fu questa particolarità a indurre il parroco Zuchristian, proveniente da Appiano, a cercare di preservare questo idioma.
Così a Luserna, dal 1866, l'insegnamento, impartito dallo stesso Zuchristian, avveniva in tedesco, se si escludono le ore di religione. Si attivò inoltre per rendere pubblico questo dialetto attirando l'interesse di insigni studiosi come Zingerle e Schmeller .
Nella Valle dei Mòcheni le scuole popolari tedesche apparirono fra il 1878 ed il 1879 e precisamente a Frassilongo, Roveda, S. Felice e Fierozzo ed il loro impatto in quella valle popolata dai discendenti di antichi minatori provenienti dal nord, dovette essere notevolmente efficace se il presidente della Lega, Tambosi, si sarebbe lamentato nel 1907 per la quasi scomparsa dell'elemento italiano a Frassilongo e Fierozzo; per di più, in un prospetto della Lega del 1910, sembra non comparire alcuna scuola serale o di cucito italiana nella Valle dei Mòcheni.
Altrove la battaglia nazionale fu più accesa e contrastata . A Folgaria la sede locale della Lega Nazionale, nata come circolo distaccato della Pro Patria il 29 giugno 1886, impedì nel 1912, facendo pressioni sulle autorità comunali, l'apertura di una scuola elementare del Volksbund il quale ripiegò sull'asilo e la scuola per lavori femminili, come avevano già fatto i concorrenti italiani qualche anno prima (nella scuola femminile italiana era presente un calzeificio che vendeva prodotti nei negozi) .
A S. Sebastiano e Luserna, le due vere isole linguistiche dell'Altopiano, le cose erano ancora più complicate. La scuola elementare tedesca sorse a S. Sebastiano già nel 1874 e l'attività pangermanista riuscì anche a premere per la sostituzione del curato italiano; tuttavia, una volta costituita la sede della Pro Patria nella vicina Folgaria la reazione non si fece attendere e, non senza qualche protesta, questa scuola fu fatta chiudere ed il nuovo curato fu di lingua italiana. Si trattò di una tregua temporanea poiché dal 1905 si scatenò la massiccia offensiva di Volksbund e Schulverein. Venne realizzato un corso serale di tedesco, venne acquistato un terreno al fine di impiantare un edificio scolastico in paese, nacquero un asilo, una cassa rurale (Reifeisenkasse), un negozio cooperativo (Consumverein) e infine il Volksbund tentò di accattivarsi le simpatie delle famiglie filotedesche (a cui arrivava periodicamente una rivista intitolata "Tiroler Wehr") ripianando metà del debito che queste avevano contratto per la costruzione della nuova chiesa .
La Lega non rimase con le mani in mano e reagì prontamente acquistando i muri della vecchia chiesa per realizzarne un asilo, istituendo corsi serali, una scuola-laboratorio di merletti a punto Venezia (1905) per merito della contessa Sardagna, una scuola per analfabeti che sostituì quella per pastori e offrendo di estinguere i debiti a posto del Volksbund .
Situazione analoga a Luserna. La Pro Patria eresse la propria scuola elementare nel 1888 intitolandola a Pasquale Villari, il presidente della Dante Alighieri. In seguito fiorirono una scuola serale (una anche a Masetti), un asilo e una scuola di cucito.
Per quanto riguarda la parte tedesca esisteva già la scuola elementare grazie alla donazione di von Biegeleben, in seguito sovvenzionata dallo Schulverein, ma vennero creati anche un asilo (1893) e una scuola di cucito molto rinomata in cui si utilizzava la tecnica del tombolo, un tipo di ricamo di origine nordica .
In effetti il dato statistico nasconde una realtà fatta di decisioni e situazioni a volte contingenti, a volte drammatiche. Dobbiamo pensare che furono solo nazionalismo e patriottismo a spingere i genitori a mandare i propri figli in una scuola piuttosto che un'altra?
No, almeno non solo: la verità ci appare sicuramente più prosaica.
In alcuni casi si trattò di un semplice fatto di distanze e la cosa può apparire comprensibile in un sistema economico basato sui masi; nel libro di Larcher viene presa in esame la scuola italiana di Costa che venne sollecitata dai capofamiglia del luogo a causa della distanza da Folgaria, pronti a rivolgersi al Volksbund in caso di rifiuto .
In altri casi furono le lusinghe a far pendere le bilance: dai ricorrenti regali, alle offerte di soldi, alla gratuità dei corsi delle refezioni. Come abbiamo visto il Volksbund, che aveva alle spalle società pronte ad elargire somme considerevoli, non esitò ad investire sul pagamento della chiesa di S. Sebastiano.
Ma nella maggior parte dei casi si può affermare che le possibilità di impiego furono determinanti. C'era ovviamente un'offerta di lavoro immediato fornito dalle scuole di cucito femminili, ma il discorso fu più legato all'emigrazione stagionale. Infatti minatori, scalpellini, muratori e venditori ambulanti (dalla Valle del Férsina) lasciavano donne e bambini ogni anno per raggiungere regioni tedesche come il Tirolo, il Voralberg, la Westfalia o la Baviera in cerca di occupazione. Forse non è un caso che le isole linguistiche fossero fra le zone più povere del Trentino, costrette, a causa di un'agricoltura di sussistenza gravata dal peso della frammentazione e dalla mancanza cronica di risparmi, all'emigrazione come valvola di sfogo ad un fabbisogno alimentare altrimenti insufficiente .
Queste continue relazioni con il mondo tedesco facilitarono, in altre parole, la sopravvivenza della parlata cimbra. Si spiegano così alcuni fattori altrimenti incomprensibili. Non era raro vedere gli stessi bambini frequentare entrambe le scuole, ad esempio, mentre alcune ore, nei corsi serali italiani frequentati anche dagli adulti, erano destinate all'insegnamento del tedesco.
Prendendo per vera questa ipotesi su può leggere fra righe una miope affermazione dell'epoca:
"E' di sommo conforto il vedere che i frequentanti l'odiato casone (del Volksbund, nota di F. Larcher) appartengono ai bassi strati sociali(...)" .
Ad ogni modo per molti si trattò di fare valutazioni realistiche, più che sentimentali. Una conseguenza di questa battaglia culturale ci mostra un generale senso di confusione e straniamento, nelle considerazioni dell'epoca, fra quei bambini abituati a parlare cimbro nelle case e obbligati ad apprendere, magari alternativamente o in modo approssimativo, tedesco e italiano.
A livello di associazione il nazionalismo implicò anche aspetti economici. L'acquisto di terreni, i finanziamenti, l'immissione di prodotti nazionali, la fondazione di casse rurali e cooperative erano tutte valide armi per conseguire la penetrazione in territori che andavano italianizzati o germanizzati per presunte motivazioni culturali e linguistiche.
Il turismo, l'industria del forestiere, che muoveva allora i suoi primi passi, rimase coinvolto in questo clima teso: basti pensare al fatto che due alberghi di Luserna (sulla stessa via, l'uno di fronte all'altro) si chiamavano rispettivamente Andreas Hofer e Nazionale e a Lavarone, con l'avvicinarsi della guerra, la clientela italiana veniva fatta oggetto di provocazioni e vigilanza continua.
Ma ci furono anche conseguenze ben più gravi. La lotta nazionalistica creò divisioni, rivalità e fratture che accesero gli animi. Nel 1907 alti esponenti del Volksbund decisero di visitare le oasi tedesche in Trentino: vediamo cosa accadde grazie alla testimonianza di Battisti:
"Quei gitanti dopo aver con atto di provocazione perlustrato buona parte del Trentino, arrivati a Pergine (dove il castello, acquistato dal Volksbund, presentava una stanza dedicata a Martin Lutero , N. d. A.) di fronte ad una dimostrazione ostile della popolazione, avean promesso di tornare alle case loro, troncando la gita. Mancando invece alla parola data si recarono a Lavarone e Folgaria, da dove l'autorità gli consigliò di scendere rapidamente a Calliano per evitare guai. A Calliano i pangermanisti furono fatti segno ad una dimostrazione violenta per opera dei terrazzani del luogo e di molti accorsi da Rovereto. A quelli avvenimenti seguì a Rovereto un lungo processo contro quarantadue cittadini, che andarono completamente assolti o condannati a pene leggere" .
Ma è a livello di paese che si fomentarono i più gravi dissidi. Il campionario è vario: dalla faziosità di alcuni preti e alla loro sostituzione forzata, alle intimidazioni (a Luserna c'è chi rischiava di perdere il posto presso i cantieri del forte se avesse seguitato a partecipare ai corsi serali italiani ), dal boicottaggio alle minacce anonime . E il contrasto a Luserna dovette essere particolarmente elevato se anche dopo lo spaventoso incendio del 9 agosto 1911 le due parti il lotta preferirono la concorrenza alla cooperazione per la ricostruzione .
Con la guerra il tono si fece esasperato. Il Volksbund, tramite le sue accuse di irredentismo, costrinse al confino numerose persone aderenti o simpatizzanti per la Lega Nazionale, dalle maestre al vescovo Endrici, e dopo Caporetto gettò la maschera dichiarando la ferma intenzione di germanizzare totalmente il Trentino. Ma nemmeno gli italiani si comportarono meglio dopo la vittoria finale. Nonostante i proclami ufficiali garantissero l'inviolabilità della nazionalità tedesca, eventi come l'ingiusta cacciata di don Pardatscher da Luserna nel ‘19 furono all'ordine del giorno.
Fu, quindi, una tragica situazione che lungi dall'esaurirsi nel dopoguerra germogliò nel Ventennio fino ad esplodere nel dramma delle Opzioni.
"(...) ciò che tutte le scuole nazionali avevano fatto insieme non contava; solo le vittorie della propria scuola sull'estranea erano iscritte con fierezza negli annali dell'autoincensamento nazionale (...).
Vista nel suo complesso, la guerra delle scuole dirette dagli stati maggiori borghesi del "totalitarismo nazionale" non fu solo negativa, ma contribuì anche non poco alla distruzione di antiche, radicate relazioni di buon vicinato e alla perdita d'un patrimonio di comunicazione sovranazionale".

LA COMUNITÀ DI LUSERNA NEL PRIMO NOVECENTO

Lusérn-Luserna: Dorfplatz und Rathaus

Lusérn-Luserna: Dorfplatz und Rathaus

"Allora, nell'altipiano, la vita scorreva tranquilla, la popolazione viveva parcamente, quanto non miseramente, tanto che spesso solo l'emigrazione costituiva l'unica possibilità di un'esistenza migliore. Il confine tagliava parte del territorio e, a Roma o a Vienna, la sua delimitazione era oggetto di notevoli discussioni per il possesso o meno di Cima Dodici o Cima Mandriolo; in pratica la popolazione non s'interessava a questi dettagli strategici, semmai era tutta presa da un fiorente contrabbando con i trentini della Val Sugana o dell'altipiano di Lavarone."
In questo modo don Andrea Grandotto, parroco di Cesuna (paese a poca distanza da Luserna, collocato sull'altipiano di Asiago, oltre quello che un tempo era il confine con il Regno d'Italia), descrive la vita di queste zone agli inizi del Novecento.
Così come a Cesuna, anche a Luserna tutto sembrava scorrere con i ritmi di sempre: nella bella stagione gran parte degli uomini prendevano la via dell'emigrazione per far ritorno alle proprie case in autunno inoltrato, le donne rimanevano in paese, occupandosi della famiglia e di quel poco che la terra permetteva loro di ricavare. D'inverno, quando il tempo fermava la maggior parte delle attività lavorative, molte donne ottenevano un se pur modesto reddito dedicandosi alla realizzazione di pizzi e merletti con la tecnica del tombolo.
Come testimonia don Grandotto, molto intenso era il contrabbando che avveniva tra i paesi al di qua e quelli al di là del confine: sulla base dei dati raccolti dalle fonti orali sappiamo che, da quando nel 1866 il Veneto divenne parte del Regno d'Italia, l'Altipiano si ritrovò diviso da una frontiera, attraverso la quale il transito di beni di contrabbando - quali tabacchi, zucchero ed alcolici - forniva una fonte di reddito significativa a chi vi si dedicava.
La vita calma e tranquilla di quegli anni cambiò quando la crescente crisi diplomatica tra Regno d'Italia ed Impero Austroungarico iniziò a far barcollare la stabilità e la possibilità di una quiete duratura. Ormai la situazione era da pace armata ed entrambi gli stati pensavano all'eventualità di entrare in conflitto.
In quegli anni il governo di Vienna, così come quello di Roma, iniziarono a progettare le tattiche e le strategie di una ormai troppo probabile guerra. Questo, però, non era che la punta di un iceberg.
Dal 1860 in poi, in poco più di un cinquantennio, i confini ed i punti strategici del Trentino furono oggetto di un'intensa attività di rafforzamento militare attraverso la costruzione di fortificazioni, tale da renderli fra le zone più armate d'Europa.
Già ai primi dell'Ottocento, in seguito alle campagne napoleoniche, gli Austriaci avevano pensato di rafforzare le principali vie d'accesso all'Impero: in quegli anni furono realizzate complesse opere corazzate nel fondovalle atesino, a Rivoli e a nord di Verona. Dalla metà dell'Ottocento, numerose incursioni nemiche avevano rivelato all'Austria le possibili direttrici d'attacco verso la Val d'Adige, spina dorsale della regione.
Sotto la direzione iniziale del generale Franz Kuhn si diede il via alla prima di tre fasi di accrescimento della forza difensiva del Trentino, realizzata attraverso la costruzione di forti e tagliate stradali . Sin dagli inizi furono potenziate le zone dell'Alta Val di Sole, delle Giudicarie e dell'Alto Garda.
Nel ventennio tra il 1876 ed il 1895, la maggiore attenzione fu dedicata alla fortificazione della città di Trento e alla realizzazione di una ventina di opere minori sparse lungo il confine orientale della provincia.
La terza e ultima fase si ebbe tra il 1900 e lo scoppio delle ostilità con l'Italia e fu opera dello stratega Franz Konrad von Hötzendorf.
Le nuove opere rappresentavano il meglio della tecnica militare dell'epoca. La loro struttura era interamente (tranne qualche raro caso) realizzata in calcestruzzo, nel quale erano state affogate delle travi di acciaio, con coperture che potevano superare anche i tre metri di spessore. Ognuno di questi forti era predisposto con torrette e cupole corazzate girevoli (in acciaio) dello spessore di 250 mm, in grado di ospitare obici e cannoni per la difesa ravvicinata.
Tra il 1908 ed il 1914, sull'altopiano che si snoda da Folgaria a Luserna-Vezzena, furono erette sette poderose opere, capaci di ospitare anche duecento soldati l'una ed in grado di difendere Trento in uno dei punti più probabili di sfondamento delle truppe italiane.
Nei pressi di Luserna furono costruiti Forte Werk Lusern, su di un'altura a ridosso del paese a 1549 m di quota, Forte Verle a 1545 m.s.m. e l'Osservatorio Fortificato di Cima Vezzena a 1908 m.s.m.
Alla fine dell'anno 1904, l'Imperial Regio Ministero della Guerra acquistò dalla famiglia Colpi - proprietaria fino a quel momento di possedimenti a Cima Campo - il terreno su cui erigere Werk Lusern, per il quale fu concesso il permesso di fabbricazione il 31 gennaio 1905.
Rispetto ad altre opere, comunque di dimensioni notevoli, il forte Werk Lusern, con una volumetria di oltre 200.000 metri cubici, due avamposti blindati ed un costo di oltre due milioni di corone austriache, era senz'ogni dubbio tra i più grandi e possenti della linea .
Per la gente di Luserna la sua costruzione fu un'indiscussa occasione di reddito.
Come testimoniano anche le fonti orali, nel periodo di costruzione della fortezza - dal 15 luglio 1908 al 20 ottobre 1912 - le possibilità occupazionali in paese non mancarono. Tutti, uomini e donne, parteciparono alla sua costruzione: gli uomini furono occupati nei lavori più pesanti, quali la realizzazione degli scavi per le fondamenta del forte, la realizzazione di alcuni chilometri di strade - di cui la sola strada d'accesso al forte è di circa 2000 m - e infrastrutture di vario tipo, quali baraccamenti e casermette, nonché la vera e propria costruzione del forte. Alle donne erano affidati principalmente i lavori di rifornimento di viveri, di materiale edile e di acqua, trasportata a secchi.
Per più di quattro anni, l'economia locale fu fortemente legata alla costruzione di queste enormi installazioni belliche. Seppur connessi ad un'economia effimera e che da lì a poco si sarebbe rigirata a loro danno, i preparativi della Grande Guerra portarono agli abitanti locali un certo grado di benessere.
Nel maggio del 1915 si attendeva da un momento all'altro la dichiarazione di guerra che avrebbe aperto il conflitto tra Regno d'Italia ed Impero Austro-ungarico. I tempi erano ormai maturi e anche la popolazione coglieva l'elettricità che ormai c'era nell'aria.
Nei dieci giorni precedenti al 23 maggio, più volte il comando del forte inviò dei Luserni oltre confine per sondare il clima: ormai il dado era tratto ed in Val d'Astico come altrove si stavano già allineando i muli e i cannoni.
Di quei giorni abbiamo testimonianza attraverso gli scritti di Josef Pardatscher, parroco di Luserna ed in seguito cappellano militare.
"Verso le 3 e mezza del mattino del 25 maggio, martedì di Pentecoste, iniziarono a tuonare i cannoni. I forti sparavano gli uni contro gli altri: i nostri e quelli dell'altra parte, Monte Verena e Campolongo (Haspelknott). Il rombo si faceva sempre più forte. Le granate fischiavano sopra l'abitato di Luserna. La conseguenza: agitazione generale."
[...]
"Alle sei mi accostai all'altare per celebrare la messa. Non appena ebbi fatto la genuflessione per poi salire sull'altare, avvenne una violentissima detonazione; la finestra del presbiterio tintinnò e i vetri in frantumi caddero ai miei piedi. Altre granate colpirono il paese."
[...]
"c'erano due feriti: Katharina ved. Nicolussi Galeno con una ferita al femore causata da schegge di granata; con ferite particolarmente gravi all'addome Berta Nicolussi Zatta di sedici anni venne portata nella canonica e sdraiata sui gradini della scala. Le diedi l'assoluzione e l'estrema unzione; il 31 maggio morì a Trento."
[...]
"La popolazione cadde in preda ad un indescrivibile e comprensibile terrore: pianti, urla, lamenti di bambini e donne. La gente raccolse velocemente la biancheria ed il vestiario che le capitava tra le mani, l'avvolse velocemente in un panno o lo mise nello zaino e si mise in fuga il più veloce possibile."
Sull'altopiano rimasero i 53 uomini - in prevalenza giovani (16-18 anni) ed anziani ancora validi (50-60 anni) - della milizia territoriale, la Standschützen-Kompanie Lusérn guidata dal capitano Michele Pedrazza, ed alcuni operai addetti alla manutenzione delle fortezze.
Come testimoniano le fonti orali, donne, anziani e bambini, lasciarono il paese a piedi o con mezzi di fortuna, incamminandosi lungo la camionabile per Monte Rovere. Giunti allo Spiazzo Alto di Monte Rovere, furono caricati i pochi bagagli sulla teleferica che i soldati avevano costruito per i rifornimenti dalla Valsugana, e scendendo per la mulattiera del Menador (Laas) arrivarono alla stazione ferroviaria di Caldonazzo. Con il treno andarono a Trento e di lì raggiunsero Innsbruck. Giunti nella città capoluogo, il sindaco Kostantin Nicolussi Anzolon si recò alla luogotenenza provinciale per ricevere disposizioni sul luogo destinato all'insediamento dei Luserni. Gli ordini furono di proseguire fino ad Aussig, nella Boemia settentrionale. Il viaggio fu molto lungo, anche perché il treno su cui i profughi stavano viaggiando doveva dare la precedenza ai convogli dei militari diretti al fronte; solo dopo tre giorni di viaggio, stipati nei vagoni merci, i Luserni giunsero a destinazione.
Stanchi e stremati, furono momentaneamente alloggiati in una grande sala messa loro a disposizione dall'amministrazione locale. In seguito vi fu uno smistamento della popolazione, che fu distribuita nei paesi del distretto.
Pur essendo una fonte limitata , per individuare almeno parte delle comunità interessate dalla presenza di Luserni è utile il registro dei nati. Da tale fonte, risulta che su 42 nati in esilio, 7 furono a Prödlitz, 5 a Wittlitz, 4 nei paesi di Mosern, Schönfeld, Modlan e Schrekkenstein, 3 a Wittal, a Nestovitz e a Schvaden, 2 ad Obersedlitz e 1, rispettivamente a Grösstschockan e a Grospriesen. Risulta un nato anche a Braunau, a nord di Salisburgo. Nicolussi Paolaz Francesco, in un'intervista concessa a Diego Nicolussi Paolaz , ricordava di essere stato sistemato a Peterrschwarz.
Seppur con qualche difficoltà, ogni famiglia di Luserna ottenne una casa: le più fortunate ebbero un appartamento tutto loro, altre furono costrette alla convivenza.
Nei tre anni in cui furono lontani da casa, i problemi non mancarono. Dalla memoria orale degli anziani risulta che, partendo sotto le cannonate, la gente aveva potuto portare con sé solo le poche cose che era riuscita a prendere dalle proprie case in tutta fretta. Da subito ci fu il problema dell'abbigliamento, cui le autorità sopperirono attraverso una raccolta di abiti smessi. La situazione venutasi a creare era di accentuata povertà; elemento diffuso era la scarsità dei viveri che la gente riceveva. Solo in un secondo momento la situazione mutò favorevolmente: le fabbriche della zona - trovandosi depauperate di buona parte della manodopera maschile - iniziarono ad assorbire sempre più donne. I settori principali d'impiego erano la produzione alimentare, in particolare la raffinazione dello zucchero, e la produzione di scarpe e scarponi. La situazione rimaneva comunque difficile.
La triste esperienza dei profughi durò tre anni e mezzo e solo nel gennaio del 1919 la gente poté rimettersi in viaggio per tornare al proprio paese. Il 19 gennaio gli abitanti di Luserna arrivarono a Trento, dove rimasero circa tre settimane . Nel capoluogo tridentino ricevettero i viveri che sarebbero serviti a far fronte alle necessità familiari del periodo di ri-insediamento. Come nella primavera del 1915, ma questa volta al contrario, arrivati a Caldonazzo percorsero la strada militare per Monte Rovere e di lì a Luserna.
Durante la loro assenza dal paese, questo tratto del confine italo-austriaco era stato uno dei luoghi più interessati dai cruenti scontri della Grande Guerra.
Già nei primi giorni di conflitto, e poi fino a quando la Strafexpedition (Offensiva del maggio 1916) non portò il fronte di guerra lontano da Luserna, l'altopiano subì un pesantissimo bombardamento, principalmente ad opera dei grossi calibri piazzati nei pressi di Forte Campomolom (a 1853 m.s.m., sull'altopiano di Tonezza - Fiorentini), Forte Campolongo (a quota 1720, appendice orientale dell'altopiano d'Asiago) e Porta Manazzo.
Dalla scheda tecnica di Forte Lusern , risulta che dal 24 maggio 1915 al 20 maggio 1916, furono annotati 725 proiettili di mortaio da 305 mm, di 5.463 colpi di cannone da 280 mm e 8.480 da 149 mm. Tonnellate d'acciaio, ghisa e piombo si erano abbattute su di un territorio di pochi chilometri quadrati.
Molti dei colpi diretti al forte fallirono il bersaglio e la sua incredibile vicinanza all'abitato si rivelò nociva. All'arrivo dei profughi il paese era ridotto ad un cumulo di macerie: gran parte delle case non avevano più il tetto, di altre rimaneva solo qualche brandello di muro. La stessa chiesa parrocchiale, collocata al centro della piazza principale, era divelta e del campanile non esisteva quasi più niente.
Anche le poche case che, se si fosse agito subito ripristinando coperture ed opere murarie, si sarebbero potute riparare, dopo tre anni d'abbandono sotto pioggia e neve erano ormai inservibili. Talvolta l'unica soluzione fu recuperare i vecchi sassi e ricostruire tutto partendo dalle cantine.

Inoltre, la situazione del Trentino mostrava i segni indelebili lasciati da tre anni di conflitto.
L'Italia che era uscita dalla guerra si trovò di fronte non pochi problemi in relazione alle politiche da adottare di fronte ad una terra martoriata dalle operazioni belliche. A tale scopo, nel 1919 fu istituito il Ministero per le Terre Liberate. La zona devastata costituiva più di un terzo del territorio trentino e secondo la stima che ne fa Calì i danni complessivi erano pari ad oltre duemiliardi e duecentomilioni di lire.
Per la ricostruzione, nell'arco di cinque anni, il governo erogò oltre un miliardo di lire in sussidi, contribuendo così in modo efficace alla ricostruzione del patrimonio edilizio della provincia. I primi a trarne vantaggio furono i lavoratori edili, i quali furono occupati per gran tempo in questo settore.
Com'è facile dedurre, per la forza lavoro di Luserna, tradizionalmente legata a tale attività, il periodo della ricostruzione postbellica fu un'occasione di lavoro continuativo che ben poche volte avrebbe potuto ripetersi: un numero cospicuo di muratori poté fermarsi sull'altopiano, sfruttando i molti cantieri che le cooperative di lavoro avevano aperto.
Sicuramente utile alle entrate domestiche fu - per coloro che vi parteciparono - il recupero delle salme dei caduti in battaglia e dismissione dei cimiteri militari. Nell'immediato dopoguerra molti furono occupati nel triste lavoro del trasporto di quanto rimaneva dei corpi che quotidianamente venivano trovati nelle vecchie trincee e nelle vallette dell'altopiano: non tutti i caduti nelle retrovie del fronte erano riusciti ad avere degna sepoltura.
Nonostante la scarsa salubrità di queste attività, anche alla luce delle fonti orali, il periodo in questione sembra essere stato di moderato benessere: la maggior parte degli uomini aveva un lavoro e la ripresa delle attività interrotte dalla Grande Guerra, sembrava non subire intoppi.
Anche a livello nazionale, sotto la guida del ministro De Stefani, l'economia, dopo qualche incertezza iniziale, seguì un trend di crescita. Un blocco d'arresto si ebbe, però, a partire dal 1925. In seguito alla speculazione internazionale, s'innescò in modo preoccupante, un processo d'inflazione. Per farvi fronte, il governo Mussolini intraprese la pericolosa via della deflazione. Nel 1927 fu deciso l'abbassamento degli stipendi e dei salari, provvedimento che andò a colpire in particolar modo la popolazione salariata.

Dopo la Grande Guerra, l'Europa aveva perso il suo ruolo di fulcro della vita politica ed economica: con il declino dell'Inghilterra, il centro propulsore dell'economia mondiale era passato oltre oceano. L'economia degli Stati Uniti, retta da una dottrina profondamente liberista che concepiva il mercato come un sistema di forze in grado di trovare autonomamente il proprio equilibrio, sembrava la garanzia di un benessere intenso e duraturo. Ma l'atteggiamento fiducioso di quegli anni finì ben presto per scontrarsi con la realtà delle cose. I primi venti di crisi si ebbero nel settore agricolo: le enormi scorte rimaste invendute a causa della ripresa della produzione nei paesi europei fecero crollare il prezzo del grano e di molti altri beni di prima necessità. Immediatamente ciò si ripercosse su tutto il sistema produttivo, provocando una crisi.
L'evento di maggiore intensità si ebbe solo il 29 ottobre 1929, quando sotto gli effetti di manovre speculative, il valore delle azioni alla Borsa di New York crollò. In un baleno si diffuse tra gli investitori un panico collettivo, inducendoli a vendere i titoli in loro possesso, dando in questo modo la sferzata definitiva al sistema.
Gli effetti della tempesta di Wall Street si fecero ben presto sentire anche nel "vecchio continente." Per salvare almeno parte delle proprie industrie, gli USA intrapresero la via del protezionismo, chiudendo la porta ai prodotti esteri e minando alla base il mercato internazionale. Gli effetti delle crisi si fecero sentire particolarmente nei Paesi in cui la ricostruzione postbellica era avvenuta fino a quel momento grazie a sostanziose elargizioni statunitensi, in primis Germania ed Austria. La prima, inoltre, era suscettibile all'andamento dell'economia statunitense a causa delle riparazioni dei danni di guerra.
Pur meno colpita di Germania e Austria, anche l'Italia subì gli effetti devastanti di quella che può essere definita una delle crisi economiche più disastrose.
Così come gli Usa, anche il nostro Paese seguì una politica di blocco alle importazioni, intraprendendo la via dell'autarchia, una lotta per l'autosufficienza economica. La politica del governo fascista si palesò attraverso una azione deflazionistica, attuata attraverso la riduzione della spesa pubblica e dei consumi. Gli stipendi ebbero una contrazione del 12% e la nazione entrò in una lunga fase di recessione.
In Trentino i primi effetti della crisi si ebbero soltanto nel 1931 e si rivelarono subito in tutta la loro durezza. Il crollo dell'economia minacciò pesantemente tutti i settori produttivi, ma in particolar modo l'edilizia privata, che si ridusse ad un quarto del normale. A questo pericoloso ridimensionamento della capacità di assorbimento locale della manodopera si aggiunsero le sopravvenute restrizioni degli Stati esteri all'accettazione di lavoratori stranieri. Se nel 1930 gli emigranti con supposta durata definitiva erano nell'ordine degli 8000, l'anno successivo si erano ridotti ad un terzo, per poi ridursi nuovamente della metà nel biennio successivo.
Analizzando i dati sullo stato della disoccupazione trentina del periodo 1927-1935, pubblicati mensilmente nell'appendice statistica del Bollettino del Consiglio Provinciale dell'Economia, si ottengono informazioni particolarmente ricche sulla situazione economica e sociale della provincia.
Da una situazione di disoccupazione significativa ma ancora modesta, tipica del triennio 1927-29, si passa ad un acuirsi del fenomeno dopo il 1930.
Particolarmente nel periodo invernale - quando per il fermo obbligato di gran parte dei lavori effettuati all'aperto s'intensifica il fenomeno - si hanno valori particolarmente alti.
Il punto di massimo si ha nel gennaio del 1934, quando si arriva a quota 16.000.
Diversamente, nel settore edile e affini la massima disoccupazione viene raggiunta nell'inverno del 1932, con quasi 7000 addetti privi di lavoro.
Considerando che la popolazione trentina secondo il censimento del 1931 consisteva di 390.000 abitanti, i dati sembrano delineare una situazione particolarmente grave.
Per quanto riguarda la situazione specifica di Luserna, nei carteggi dell'Archivio Comunale sono stati rinvenuti i dati relativi al triennio 1932-34.
Si nota subito la composizione per classi professionali dei disoccupati: circa i nove decimi appartengono alle categorie edili (muratori, manovali, lastricatori, marmisti, ecc.). Ponendo che lo stato della disoccupazione fosse uniforme per tutte le categorie lavorative, senza troppe pretese, ciò sembra riconfermare la netta prevalenza di queste professioni sulle altre.
Il secondo aspetto, forse il più importante in questa sede, riguarda la consistenza numerica dei senza lavoro: pur non potendo procedere ad una elaborazione percentuale del rapporto tra disoccupati e forza lavoro a causa dell'impossibilità di svolgere un'analisi della popolazione per classi di età, i valori sembrano comunque essere particolarmente elevati.
Nell'ottobre del 1933, su una popolazione di poco superiore alle 850 unità, vi erano ben 135 disoccupati, nonostante le prime avvisaglie di un recupero a livello provinciale.
Ad acuire ancora il fenomeno vi è il fatto che nella fase storica presa in considerazione (1932-34), a causa del forte recupero della natalità tipico dei periodo post-bellico (1920-24), è probabile che vi fosse una popolazione particolarmente giovane, con un'ampia componente di individui non ancora entrata nel mondo del lavoro. Quest'ultimo fattore contribuisce a diminuire la percentuale della forza lavoro sul totale della popolazione, lievitando conseguentemente il peso percentuale dei disoccupati.
Anche all'analisi delle fonti orali il periodo successivo al 1930 sembra essere stato di grave crisi; alcuni intervistati hanno parlato addirittura di difficoltà di sostentamento legate all'estrema scarsità anche dei più comuni generi alimentari.
Nonostante una politica governativa di contrazione del costo della vita, i principali beni alimentari rimanevano costosi anche per le famiglie in cui il reddito da lavoro non era venuto a mancare. Come osserva Piccoli, i salari erano diminuiti significativamente (in alcuni casi fino al 40%), senza che di contro vi fosse un identico calo dei prezzi. Già alla fine del 1932, un muratore doveva lavorare più di quattro ore e mezza per comperare un chilogrammo di burro, e quasi sei ore per una uguale quantità di formaggio.

Dopo una modesta fase di ripresa avvenuta nel 1936, l'industria edile era ripiombata nella crisi che si pensava ormai superata. La politica autarchica del governo aveva danneggiato il Trentino più profondamente di altre regioni: bloccando gli scambi commerciali con l'estero, si colpiva al cuore l'economia della provincia.
Quando il governo aveva operato la scelta verso l'autarchia economica della nazione non aveva ben calcolato le reali possibilità di affrontare un gran numero di carenze produttive: se per far fronte alla scarsità di determinati beni alimentari si erano intraprese opere di riconversione produttiva o campagne come quella della "battaglia del grano", i problemi sembravano maggiori sul piano industriale.
L'Italia, colpita anche dalle sanzioni imposte dalla Società delle Nazioni il 7 novembre 1935 per la sua politica colonialista in Africa Orientale, si trovò a far i conti con la scarsa disponibilità sul suolo nazionale di minerali. Non era la prima volta che si palesava questa carenza, tanto che, già durante i preparativi della Grande Guerra, l'Italia s'era vista costretta ad acquistare da altri Stati molto del materiale bellico che le serviva.
Per far fronte alle crescenti necessità dell'industria, anche in Trentino iniziarono nuove campagne di ricerca mineraria, che interessarono soprattutto la Valsugana e la Val di Sole. Nella prospettiva di aprire nella periferia della città di Trento un distretto siderurgico, si diede grande impulso alla creazione di miniere di magnetite e di lignite a Pejo e a Civaron.
Paradossalmente, le zone montane situate lungo quello che era stato il fronte della Grande Guerra trovarono giovamento dal blocco dal commercio internazionale e dalla carenza di materie prime: la guerra non aveva lasciato dietro di sé solo distruzione ma anche enormi quantità di rottami bellici. Come afferma Vigilio Pedrazza in un articolo apparso su Identità, avente per tema il recupero dei materiali ferrosi, " la gente delle zone di confine ed in particolare quella di Luserna, martoriata più di altre dal fuoco dell'artiglieria perché vicino al forte e al fronte, trovò la possibilità di riprendersi economicamente sfruttando le macerie che aveva appunto provocato la guerra."
Le prime attività iniziarono all'inizio del 1935 nelle zone di Passo Vezzena. Vedendo nel recupero dei rottami una possibile risorsa in tempo di grave disoccupazione, il Comune acquistò il 3 giugno 1935 l'ex fortezza austoungarica di Cima Campo (Werk Lusérn) , al fine di recuperare il ferro in essa contenuto.
La fortificazione fu demolita dall'impresa Mondini che, in seguito all'autorizzazione di sparo delle mine del 16 giugno , iniziò i lavori di abbattimento.
L'estrazione di travi, putrelle e tondini dalle macerie fu affidata ad operai locali.
Parallelamente, si sviluppò sempre più l'attività di raccolta di proiettili e delle loro schegge su tutto il territorio dell'Altopiano. Con decreto del 20 marzo del 1930, lo Stato cedeva alle singole amministrazioni comunali la proprietà dei materiali e dei rottami bellici, permettendo in questo modo ai Comuni di autorizzare la popolazione locale allo sfruttamento di questa risorsa. Per quanto riguarda Luserna, tutti coloro che lo desiderarono furono autorizzati allo scavo, a condizione, però, che il terreno fosse successivamente ripristinato.
Per individuarli si cercavano gli avvallamenti lasciati dalle deflagrazioni, sondando il terreno con una verga d'acciaio che permetteva di controllare la resistenza alla penetrazione del suolo. L'eventuale morbidezza indicava il già avvenuto recupero del residuato. Poi si iniziava lo scavo per un diametro di 3 metri ed una profondità di 2-2,5. Mediamente il recupero dei frammenti di un ordigno di questo calibro richiedeva anche tre giorni di duro lavoro, rendendo agli operai 35-40 lire. Secondo la ricostruzione fatta sulla base di interviste ad anziani, da un ordigno da 280 mm, del peso di circa 250 kg, si ricavavano, oltre alla ghisa, più di un chilogrammo di preziose vere di rame e circa 5 chilogrammi di ottone della testata (Sprengkapls).
Tenendo conto dello stato di crisi che ancora serpeggiava e del fatto che la stagione lavorativa di un recuperante era più lunga di quella di un muratore, queste attività si rivelarono abbastanza redditizie, anche perché sia donne sia bambini poterono essere occupati per le attività apparentemente meno pesanti. Alle prime era affidato il compito di trasportare i rottami che gradualmente venivano estratti sino in paese, dove vi erano i centri di raccolta. Ai bambini era invece affidato il compito di portare agli adulti il pasto di mezzogiorno e di raccogliere gli Shrapnels (in cimbro plai-marmar), piccole biglie di piombo contenute nei proiettili anti-fanteria, che venivano fusi in piastre dello spessore di circa 1cm, non senza rischi: i vapori sprigionati dal piombo incandescente sono altamente tossici.
La ghisa e gli altri metalli venivano venduti principalmente ad un certo Abalini di Mezzaselva di Roana (altopiano di Asiago) e al fabbro del paese, che raccoglieva per Briata di Arsiero (nei pressi di Thiene). A differenza di quest'ultimo, Abalini si recava a raccogliere i rottami sul luogo del rinvenimento. Come testimoniano molte interviste, nei periodi di massima diffusione della raccolta dalla piazza del paese potevano partire anche 3 camioncini di rottami al giorno.
Il rovescio della medaglia stava nell'estrema pericolosità di queste operazioni: soprattutto quanti avevano combattuto la Grande Guerra ritenevano di avere gran dimestichezza con gli ordigni e perciò avevano l'abitudine di svuotare del loro contenuto le bombe inesplose; come testimoniano le fonti orali, spesso ciò era fatto senza tenere in minima considerazione il rischio reale dell'operazione.
Vi fu anche chi tentò di aprire le bombe a colpi di mazza; queste imprudenze causarono vari feriti ed una morte.
Un altro evento che segnò in questi anni la piccola comunità cimbra di Luserna fu legato alle operazioni militari che il governo guidato da Benito Mussolini intraprese in terra d'Africa. Alla metà degli anni Trenta, convinto che il patto che legava l'Italia a Francia, Gran Bretagna e Germania (il cosiddetto Patto Mussolini) con il fine di una pacifica revisione dei trattati, gli garantisse il tacito sostegno di Francia e Regno Unito, il Duce pensò alla possibilità di attaccare l'Etiopia, l'ultimo grande Paese africano rimasto indipendente . Con la conquista anche per l'Italia di "un posto al sole", la politica governativa pensava di trovare un nuovo impulso all'economia della penisola. Questa terra avrebbe dovuto essere la meta di tanti Italiani che con il contenimento dell'emigrazione verso gli Stati Uniti si trovavano in una situazione finanziaria vacillante. Inoltre, con una vittoria, il regime avrebbe guadagnato in patria un consenso maggiore. Il conflitto iniziò il 3 ottobre 1935 e nel maggio del 1936 era già concluso, con l'ingresso delle truppe italiane a Addis Abeba e la proclamazione dell'impero . Nel giro di pochi mesi molte aziende si erano trasferite grazie anche ai consistenti contributi emessi dal governo. A sostegno degli sforzi del regime nella conquista di queste terre e per farvi crescere molte industrie, tra il 1935 ed il '36 partirono per l'Africa Orientale anche 2000 operai trentini.
Per quanto concerne Luserna, in un pubblico avviso del Comune, datato 26 aprile 1935 , si legge:
".. l'On. Commissario per l'emigrazione e la Colonizzazione interna, ha disposto che anche un certo contingente di nostri operai terrazzieri vengano ingaggiati [...] nelle Colonie dell'Africa Orientale Italiana."
Prosegue poi:
"Ciò premesso, si è stabilito che anche in questo comune vengano ingaggiati a tale scopo un certo numero di operai che si aggirerà da 10 a 20. La partenza degli operai dovrà aver luogo il 30 corrente mese."
Lo stesso documento indica poi che gli operai avrebbero dovuto avere un'età compresa tra i 25 ed i 40 anni, essere abili nella costruzione di strade, rampate e quant'altro e presentarsi davanti al podestà entro il giorno 27 dello stesso mese.
Oltre a quanti partirono come risultato di questo avviso, altri, che precedentemente erano stati chiamati per le operazioni militari, si fermarono oltre la fine del conflitto. Secondo la ricostruzione operata dal Kulturverein Lusérn, gli operai partiti tornarono nell'estate dell'anno successivo. Il 6 dicembre 1936 vi fu una nuova partenza. Il giorno dopo il gruppo s'imbarcò al porto di Genova alla volta di Addis Abeba. Giunti a destinazione, furono assegnati alle cave di pietra che erano state aperte per la costruzione della strada di collegamento tra Addis Abeba e Gimma.
La partenza di alcuni operai per l'Africa Orientale fu una vera iniezione ricostituente per i bilanci di molte famiglie. Dopo un periodo di crisi, in cui molti si erano indebitati, la via africana costituì una delle poche possibilità per ripristinare una situazione di modesto benessere.

LE OPZIONI A LUSERNA

L'evento forse più drammatico del XX secolo per la piccola comunità cimbra di Luserna furono però le Opzioni, l'illusorio tentativo per molti di uscire da uno stato di povertà che aveva fortemente provato il paese.

Con il termine "Opzione" si indica la facoltà di scelta concessa nel 1939 agli abitanti di lingua tedesca del Sudtirolo e delle zone mistilingui delle allora Tre Venezie: rimanere cittadini italiani - rinunciando alla propria lingua materna e a tradizioni secolari - oppure trasferirsi nel III Reich, acquisendo la cittadinanza tedesca ma abbandonando la propria terra.
Nell'ottica di una italianizzazione forzata dei territori che dopo la Grande Guerra furono assegnati all'Italia ed in risposta alla politica pangermanista tedesca, il 23 giugno 1939, come risultato di una trattativa intercorsa a Berlino tra il console generale tedesco Otto Bene e il sottosegretario agli affari esteri italiano Buffalini Guidi, fu programmato il trasferimento dei "sudtirolesi etnicamente tedeschi", ovvero "alloglotti".
L'intesa venne poi integrata da un accordo italo-tedesco firmato a Roma il 21 ottobre 1939, senza che il parlamento lo ratificasse.
Il fascismo voleva liberarsi di quei cittadini sudtirolesi che mal nascondevano le loro simpatie per il mondo tedesco e sostituire la popolazione urbanizzata locale (non legata alla terra) con immigrati italiani; le zone di montagna, ben più difficili da ri-insediare, non erano in un primo momento comprese nell'accordo. Da parte italiana, l'esodo totale era sostenuto dal questore Arturo Boccherini e dal sottosegretario per gli interni Buffalini Guidi.
La Germania ben poco s'interessava dell'orgoglio tedesco di questi popoli: era piuttosto interessata a rimediare alla carenza di manodopera causata dai preparativi della guerra. Inoltre, con gli optanti sarebbe stato possibile occupare le nuove zone che si sarebbero create con l'espansione verso est del Reich, non appena espropriate agli Slavi.
Il 23 giugno vi fu una nuova riunione dei vertici di Italia e Germania, senza però approdare a scelte definitive. Si affidarono le decisioni di carattere tecnico al console Otto Bene e al prefetto di Bolzano Giuseppe Mastromattei.
Solo due mesi più tardi si arrivò ad una definizione degli aspetti strategici dell'operazione:
- potevano optare i cittadini residenti nella provincia di Bolzano, nei comuni mistilingui del Trentino (precedentemente non previsti) e nelle zone dell'Ampezzano e dalla Val Canale;
- per optare bastava rivolgersi presso gli uffici delle amministrazioni comunali italiane e, accanto a questi, si istituivano degli uffici tedeschi per l'emigrazione ed il rimpatrio;
- si definivano le modalità di liquidazione dei beni immobili e i criteri di trasporto di quelli mobili, decidendo che case e terreni potevano essere liberamente venduti sul mercato o trasferiti ad una società fiduciaria per l'emigrazione degli optanti (DAT ) dopo che i beni fossero stati stimati da una apposita commissione italo-tedesca.
- i trasferimenti dovevano avvenire entro il 31 dicembre del 1941.
Rimaneva da delineare un punto essenziale: fino ad ora non si erano precisati i criteri che definivano i requisiti in base a quali si poteva identificare chi era etnicamente tedesco e avesse diritto alla facoltà d'Opzione. Ad ottobre, il comandante delle SS e capo della polizia tedesca Heinrich Himmler ed il questore Arturo Boccherini ricominciarono i negoziati, fissando per il 13 dicembre 1939 la data ultima per la presentazione delle domande ed il 31 dicembre 1942 come conclusione delle operazioni di trasferimento. Il documento comprovante l'avvenuta Opzione doveva essere presentato da ciascun cittadino tedesco o ladino della provincia di Bolzano che avesse raggiunto la maggiore età, nel comune di residenza o nelle sedi dell'ADEuRST.
Le votazioni non avvennero in un clima sereno: le propagande contrapposte spesso usavano lo strumento della menzogna, arrivando a predire la peggiore delle sorti per chi non avesse scelto secondo le indicazioni date ; talvolta, le stesse operazioni d'Opzione, si svolgevano al di fuori di ogni correttezza.
A titolo di esempio, si riporta lo stralcio di una lettera che un luserno spedì nel giugno del 1941 al Prefetto di Bolzano.
"Venerdì 20 corrente mi trovai [...] a giocare a bocce - furono bevuti vari litri di vino e dopo che la mia testa era ormai annebbiata dai fumi del vino, mi fecero [riferendosi ai fiduciari del consolato germanico] firmare delle carte che poi ho saputo trattarsi di opzione per la Germania."
Sull'entità delle Opzioni non vi sono informazioni certe, a causa delle manomissioni politiche esercitate sui dati da entrambi i regimi: secondo la versione italiana del 1945, risultano 267.238 persone aventi diritto all'Opzione, di cui il 69,4% si è dichiarato a favore della Germania, il 14,3% a favore dell'Italia, mentre un restante 16.3 % non esercitò il diritto d'opzione, accettando tacitamente la scelta italiana.

I tedeschi imputarono ad una disattenzione durante la stesura delle linee direttive, che avrebbero dovuto guidare l'emigrazione, la mancata inclusione di Luserna e della Val dei Mocheni nei territori previsti nell'accordo del 1939. Il capo dell'ADEuRST di Bolzano e Sturmbahnfuhrer delle SS Wilhelm Luig ottenne dal governo romano che le due minoranze tedesche ad est di Trento fossero incluse nei territori dell'accordo: si trattava dei comuni di Luserna, Palù del Fersina, San Felice, San Francesco e Sant'Orsola .
Nonostante la concessione della facoltà di opzione anche a queste ultime due comunità germanofone, i problemi - perlomeno per i Luserni - non finirono. Secondo la normativa prevista, le domande dovevano essere inoltrate presso gli uffici comunali, guidati da funzionari nominati dal fascismo: poteva, quindi, succedere che il podestà rifiutasse di accettare le richieste d'Opzione. Dagli atti rinvenuti presso l'Archivio Comunale di Luserna, risulta un documento nel quale il Commissariato per le Migrazioni e la Colonizzazione di Bolzano scrive:
"La direzione degli Uffici Tedeschi di Rimpatrio ed Immigrazione ha fatto presente che il Podestà di Luserna rifiuterebbe di accettare i mod. 1,2,3 [i modelli d'Opzione] e di legalizzare le fotografie degli optanti per la cittadinanza germanica...."
Dalla medesima fonte risulta che non solo erano respinte le richieste, ma nel caso di accertamenti sull'origine etnica dei suoi concittadini, il Podestà negava che il comune fosse un'isola etnica tedesca.
In risposta ad una lettera del Comune di Brunico, mirante a verificare l'appartenenza etnica di un cittadino di Luserna momentaneamente lì residente , il Podestà di Luserna risponde:
"Con richiamo alla nota di cui a margine partecipasi che Z.Y. di X. e di fu J.K.M. è nato a Prödlitz il ii.jj.nnnn in quanto la madre si trovava ivi quale profuga proveniente dalla zona evacuata di confine di Luserna.
I genitori sono di Luserna come gli avi, essi sono indiscutibilmente di razza e lingua italiana in quanto tutta indistintamente la popolazione di questo Comune appartiene al gruppo etnico degli Altipiani di Lavarone ed Asiago."
L'unica soluzione che i Luserni potevano mettere in atto contro questo atteggiamento era scavalcare il Comune, presentando le richieste d'Opzione direttamente all'ADEuRST di Bolzano, procedura che comunque non sempre riusciva a liberarli dai vincoli dell'ostilità dei membri locali del partito fascista. Da alcuni carteggi rinvenuti presso il Comune di Luserna risulta che, in alcuni casi, la negazione da parte del Podestà della appartenenza etnica tedesca dei concittadini abbia dato luogo a problemi nell'accettazione delle richieste d'Opzione.
Per partecipare all'Opzione ogni domanda doveva essere redatta e consegnata entro il dicembre 1939; oltre tale termine, le richieste sarebbero state comunque accettate ma con la rinuncia da parte del richiedente di ogni qual forma di agevolazione economica. Si rinunciava, quindi, sia ad un cambio di valuta favorevole - 1 marco per 4.40 lire anziché 1 marco per 7.63 - sia alla liquidazione per i beni ceduti.
Indipendentemente dalla data di consegna, le Opzioni delle minoranze germanofone trentine seguivano comunque percorsi diversi e meno favorevoli di quelli previsti per gli optanti residenti entro i territori dell'accordo del 1939.
Da un carteggio inviato dalla R. Prefettura di Trento ai Comuni di Luserna e Sant'Orsola (Val dei Mocheni), risulta, infatti, che:
" ...le opzioni per la cittadinanza germanica presentate nei comuni di Sant'Orsola e di Luserna vanno considerate al di fuori degli accordi italo-tedeschi per l'Alto Adige nel senso che le relative dichiarazioni, pur ammesse ad una procedura accelerata, devono intendersi quali domande per l'acquisto della cittadinanza germanica secondo la procedura normale stabilita per le naturalizzazioni."
Da parte tedesca furono comunque date sufficienti garanzie, tali da non frenare sul nascere il fenomeno: fu garantito il trasferimento gratuito nei nuovi paesi e furono assicurate una casa con annesse proprietà, di valore non inferiore a quanto si era lasciato in Italia.
Secondo le fonti statistiche del Commissariato del Reich per il consolidamento del carattere nazionale tedesco (RKFdV) del 10 novembre 1943, si erano dichiarati optanti 830 Mocheni e 408 Luserni, all'incirca metà della comunità di Luserna e un terzo di quella mochena .
Sulla data della loro emigrazione le opinioni non erano concordi: vi era chi prospettava la loro partenza solo dopo quella di tutti i sudtirolesi (come avevano convenuto verbalmente Luig e Buffalini Guidi); diversamente, nel gennaio 1940, Luig elaborò un progetto per il trasferimento in blocco di Luserni e Mocheni, ipotizzando la prova generale dell'esodo sudtirolese .
Quando nel 1941 Wilhelm Luig fu nominato a capo del gruppo di lavoro per l'emigrazione di Luserni e Mocheni, fu inoltrata la richiesta agli uffici del RKFdV di Berlino di precisi impegni per quanto concerneva un'idonea liquidazione e la localizzazione del nuovo insediamento. Il Commissariato del Reich per il Consolidamento del Carattere Nazionale Tedesco (RKFdV) rispose in senso positivo in relazione all'entità dei risarcimenti ma non si espresse riguardo al luogo d'assegnazione delle due comunità.
A settembre si informarono gli optanti che la partenza avrebbe dovuto aver luogo entro l'autunno e in Val dei Mocheni si fondò la locale sede della "Società fiduciaria per l'emigrazione degli optanti" (DAT)
A causa dell'inverno imminente e delle provviste già accumulate, la popolazione dimostrò tutta la sua ritrosia a partire in quel periodo, obbligando Luig a spostare i suoi progetti di partenza immediata. Questo rifiuto alla partenza mise Luig in difficoltà presso i superiori, i quali, rendendosi conto che l'interesse al trasferimento stava diminuendo anche in molti sudtirolesi, evidenziavano la necessità di un trasferimento immediato. Inoltre, il protrarsi delle operazioni aveva indotto molte persone a partire singolarmente e al di fuori di ogni sorta di programmazione.
In una lettera spedita al RKFdV alla fine di ottobre del 1941, Luig giustificò i ritardi affermando che oramai, per l'anno corrente, la possibilità di far emigrare Mocheni e Luserni era scarsa. A causa delle cattive condizioni atmosferiche, le strette vie d'accesso alle comunità erano rese impraticabili dal ghiaccio, nessun mezzo pesante avrebbe potuto raggiungere gli optanti trentini.
Inoltre la stima dei beni degli emigranti era molto arretrata: la frammentazione fondiaria rendeva difficile definire quanta proprietà appartenesse alle singole persone.
Era intenzione di Luig procedere ad un trasferimento in blocco presso il campo di Hallein, nei pressi di Salisburgo. Nelle due comunità iniziarono i preparativi per la partenza: mobilio e quel poco che le gente possedeva fu raccolto in luoghi fissati dei paesi per poi poter essere imballato e spedito tramite ferrovia ad Hallein.
Case e terreni - stimati in 3 milioni di lire per gli optanti Cimbri ed in 19 milioni per i Mocheni - furono lasciati alla Società Fiduciaria per l'Emigrazione degli Optanti di Bolzano (D.A.T.), dietro la promessa di ricevere beni aventi lo stesso valore non appena giunti a destinazione. Questa promessa, che aveva lusingato molti a lasciarsi tutto alle spalle e a partire verso una nuova vita, non fu mai mantenuta.
Il 21 aprile, 478 Mocheni e tre giorni più tardi 192 Luserni partirono per il campo di Hallein e qui furono momentaneamente sistemati in baracche; erano stati preceduti da 181 optanti di Luserna. Questa precaria situazione abitativa indusse ben presto malessere nella popolazione; solo nell'estate del 1942 le autorità competenti cercarono una soluzione, paventandosi il rischio che il diffondersi della notizia di quest'inconveniente potesse dissuadere i Sudtirolesi a percorrere la stessa strada.
Nonostante l'opposizione della sezione di Monaco del Partito Nazionalsocialista, gli optanti vennero sistemati in un'ottantina di fattorie - a cui se ne aggiunsero settanta in un secondo tempo -che si erano rese disponibili a Céske Budéjovice (Budweis), in Boemia, una delle nuove province orientali dell'impero.
Diversamente dagli accordi, le fattorie non furono cedute in proprietà ma piuttosto in gestione. Gli stessi beni prodotti dagli emigranti appartenevano allo Stato: l'emigrante veniva quindi ad essere un salariato che alloggiava nella casa del suo datore di lavoro, la nazione tedesca. Secondo la ricostruzione degli eventi che fa Hans Mirtens , Cimbri e Mocheni ebbero inoltre serie difficoltà ad abituarsi al nuovo ambiente: per prima cosa non erano pratici nel coltivare dei terreni così pianeggianti e tantomeno lo erano usando i cavalli per arare.
Ad Hallein erano rimaste novantacinque famiglie, delle quali solo trenta avevano le caratteristiche psicofisiche richieste dall'ufficio distrettuale di Praga per l'insediamento in quei territori. Nel 1943 il campo fu evacuato e le poche famiglie di Luserna rimaste furono sistemate nel distretto di Salisburgo .
Nel frattempo, la capacità di tenuta dei nuovi territori che la nazione tedesca aveva occupato cominciò a venire meno: con il costante avvicinarsi della linea del fronte e la fuga dei funzionari tedeschi, i nuovi coloni vedevano la loro situazione divenire sempre più precaria, fin quando, l'8 maggio 1945, non restò loro che fuggire, abbandonando le case che erano state loro assegnate e le poche cose che avevano. In quei giorni i Cechi si riappropriarono di quanto era stato loro ingiustamente tolto.
Gli optanti fuggirono con quel poco che si poteva tenere in mano: a piedi e stando ben attenti a non essere catturati, tentarono di entrare in territori più sicuri, ancora controllati dai Tedeschi.
Stando alle fonti , in tal senso un aiuto significativo venne dalle Forze Alleate, le quali fornirono generi di sussistenza e collaborazione anche nelle successive operazioni di rimpatrio in Italia.
Sempre per l'avvicinarsi dell'Armata Rossa era stato evacuato il campo di Ustrom il 25 gennaio; le famiglie giunsero stremate in Trentino solo il 19 aprile.
Nell'estate del 1945 tornarono a Luserna 91 persone, con l'eccezione di una famiglia che si fermò a Lienz.
Fortunatamente, nessuno degli optanti era ancora stato depennato dai registri di cittadinanza italiana, sicché tutti riuscirono a ritornare alle proprie case senza eccessivi intoppi.
In un documento dell'Archivio Comunale di Luserna, al paragrafo 26 del Verbale di ispezione al registro di popolazione per l'anno 1942, si legge:
"Movimento migratorio: quante sono le pratiche in sospeso?
Sono sospese tutte le pratiche di cancellazione anagrafica relativa alle persone che sono emigrate in Germania perché mancano disposizioni a riguardo."
Non così fortunati furono coloro che non rientrarono immediatamente in Italia. Infatti, con l'Opzione i loro beni erano passati in proprietà alla Società Fiduciaria Germanica di Liquidazione, ente statale della Germania nazista che aveva subito nel 1946 la confisca da parte dello Stato Italiano.
Il 2 febbraio 1948 il governo italiano emanò un decreto per la ri-opzione di coloro che, sulla base degli accordi del 1939, avevano abbandonato la cittadinanza italiana per quella tedesca, ma, diversamente da tutte le altre realtà, Luserna e la Val dei Mocheni non erano però state incluse sin dagli inizi, essendo state agganciate al fenomeno solo in un secondo tempo.
Soltanto con la legge n°489 del 3 agosto 1949 - "Retrocessione a cittadini italiani già residenti in taluni comuni del Trentino dei beni ceduti alla Società fiduciaria di liquidazione di Bolzano", Luserni e Mocheni riottennero parte dei propri beni: nel dopoguerra chiesero al governo tedesco un risarcimento per i danni subiti. Negli anni Sessanta ancora più di 250 persone erano in attesa di un risarcimento , che fu concesso solo nel gennaio 1967 - in base ad un accordo del 1965 - dalla Repubblica Federale Tedesca, responsabile delle obbligazioni contratte dalla DAT.

TRADIZIONI CIMBRE DI LUSERNA

In queste poche pagine inizia un lungo viaggio che porta ad un tempo in cui "tutte le cose potevano parlare: gli animali, le piante e le pietre".
Questo tempo è quello delle origini e degli antichi mitiche si perdono nei secoli, ma di cui rimane testimonianza nelle tradizioni popolari di Luserna.
In questo senso la comunità cimbra è da considerarsi un magnifico laboratorio, in cui l'antica cultura germanica dei padri si è fusa con le tradizioni e i costumi dell'universo romanzo che la circonda.
Di qui è nato un patrimonio di credenze, usi e costumi che si respira ancora vivo a Luserna e di cui non è difficile trovare testimonianza nel vivere quotidiano di questa gente.
Tradizioni legate al ciclo dell'anno:
I TRE RE
Tutto inizia nei freddi giorni di gennaio e più precisamente nei tre che precedono l'Epifania.
Appena fatta notte tre bambini iniziano a girare casa per casa, vestiti da "Re Magi", cantando una canzone che ricorda il lungo viaggio che li portò alla grotta di Nazareth.
Con loro non manca mai un lungo bastone su cui è collocata una scatola con un ritaglio a forma di stella, preparata dai piccoli nei giorni precedenti, ed in cui una candela fa sì che si propaghi una tenue luce.
Anche i loro abiti sono molto curati e ricordano quelli d'epoca.
Ovviamente nulla viene comperato e questi bei vestitini vengono ancor oggi cuciti a mano dalla mamme e dalle nonne.
Secondo alcune analisi storiche tale tradizione fu documentata già negli anni successivi al Sacro Concilio di Trento.
Da notare è che i Concilio tridentino si rese anche famoso per il suo sforzo (spesso riuscito) di cancellare ogni forma di paganesimo, in favore di un maggior radicarsi della cristianità.
E' quindi molto probabile che la tradizione dei Magi sia stata, perlomeno in origine, il tentativo di distogliere l'attenzione della gente da qualche forma di festa pagana.
Ciò può assumere particolarmente senso dato il periodo in questione.
Infatti i dodici giorni che precedevano l'Epifania avevano un significato simbolico molto forte nelle antiche credenze.
VORTPREN-BAR DAR MARTZO
Nella notte tra l'ultimo giorno di febbraio ed il primo di marzo è tradizione accendere un grande fuoco ed attorno a questo enorme falò è usanza ritrovarsi a festeggiare la fine del rigido inverno.
Questo è chiaramente un fuoco propiziatorio di origine pagana, attraverso cui si bruciava la brutta stagione nell'attesa della primavera.
LE ROGAZIONI
A Luserna, nei tre giorni che precedevano l'Ascensione, la comunità partecipava ad una processione lungo le strade ed i sentieri di campagna . Al mattino presto il parroco ed i fedeli iniziavano il percorso intonando le litanie dei santi. Nelle varie stazioni, ogni giorno diverse per tre giorni, dopo aver letto brani dei vangeli di S. Giovanni, S. Marco, S. Luca e S. Matteo, si invocava la benedizione e la protezione del Signore ai quattro punti cardinali: a nord si recitava ad subitanea improvvisa mortem, a sud ad fulgore tempestate libera nos Domine, ad est at peste, fame et bello libera nos Domine e ad ovest at flagellum terremotum libera nos Domine.
Oggi, a causa dell'abbandono della gran parte delle pratiche agricole e pastorali, tale tradizione propiziatoria non viene più perpetuata.

Personaggi e figure mitologiche:
DI FRAU PERTEGA
Gli anziani del paese si ricordano ancora che un tempo si raccontava che sotto Luserna, sul precipizio che domina la Val d'Astico, vi fosse una caverna detta "stanza della vecchia Orsola".
All'interno di questa grotta, la leggenda vuole che vi fossero grandi tini in cui starebbero in ammollo i bambini non ancora nati.
Il custode di questo luogo fantastico è una vecchia, forte, robusta e con lunghi denti, nota appunto con il nome di Frau Pertega .
Secondo quanto annotò Wolfram a Luserna nel 1941, i bambini sarebbero tenuti sul pendio montano nei pressi del torrente Üasn .
Questo essere mitologico avrebbe inoltre la capacità di provocare temporali e nel risciacquare i suoi enormi tini provocherebbe dei tuoni.
Interessante è sapere che questi bambini venivano abitualmente venduti ai padri che li volessero, sapendo comunque che i maschietti sono più costosi delle femminucce e che i brutti costano meno dei belli.
Con l'aiuto delle ricerche di Schweizer è possibile trovare una spiegazione al nome di questa figura mitologica: Frau Pertega. Pertega risale al germanico Berhta ed appartiene al gotico Bairhts che significa luminoso. Grimm arriva alla conclusione che alcuni tratti di tale figura siano riconducibili ad una divinità pagana che si aggirava nel periodo del solstizio d'inverno. Se ne deduce la sopravvivenza di una antica dea della fecondità (avendo molti figli da poter dare) ma anche la congiunzione tra la vita e la morte (è ipotizzabile un vero e proprio mito dei morti).
Il suo nome, Frau, denota una persona importante (a Luserna le donne sono indicate generalmente con Baibarn) e a livello fonetico ricorda molto da vicino Freya, una antica dea della fertilità legata alle antiche divinità Vani del mondo contadino germanico. Raccogliendo, poi, tutte le versioni esistenti della leggenda cimbra, si trovano molti elementi comuni tra Freya e Frau Pertega.

Tradizioni e credenze legate al ciclo della vita:
L'INFANZIA
Nel quadro della realtà di Luserna, questo è uno dei settori più prosperi e ricchi, infatti attorno a loro ruota un mondo di misticismo e di timori. Essi infatti sono l'elemento più debole della famiglia ed in quanto tali, più vulnerabili alle forze dell'occulto e del maligno.
La paura maggiore si ha nelle ore serali e alla notte, infatti in quei momenti le figure demoniache si muovono con maggior libertà.
Le antiche credenze di Luserna (vive comunque fino Alla fine dell'Ottocento, quando uno studioso tedesco le trascrisse) sconsigliavano di portare fuori casa i bambini dopo il crepuscolo, il non seguire questo consiglio avrebbe potuto far si che il piccolo venisse stregato. Un'altra cosa da non fare mai era misurare l'altezza di un bambino o scavalcarlo, se si contravveniva a ciò il bimbo smetteva di crescere.
Quest'ultimo elemento si rivela particolarmente interessante per il fatto che lo scavalcare un oggetto o una persona indica supremazia (maggior "potenza") dello scavalcante sullo scavalcato.
Basti pensare che il giorno del matrimonio, appena la coppia entrava per la prima volta nella nuova casa, doveva passare (scavalcare) una scopa, ciò era sufficiente a neutralizzare le potenti magie delle streghe impedendo che la casa venisse stregata.
A riguardo dei neonati un tempo si credeva che dondolare una culla vuota facesse venire il mal di pancia al bambino che l'avrebbe usata in seguito.
Infine si ritiene che se un bambino piange bisogna lasciarlo stare, perché finché piange gli cresce il cuore.

LA MORTE
Fino a non molti decenni fa si raccontava che la civetta (di Klage) fosse un animale particolarmente legato al mondo dell'aldilà. Si riteneva che qualora fosse stata sentita nel cuore della notte nei pressi di una casa, lì qualcuno sarebbe morto.
Anche il solo nome di questo animale, infatti, ricorda il lamento disperato di chi piange la perdita di una caro (klagn).
Proprio in riferimento a questo, alcune testimonianze di illustri studiosi d'ambito ci riportano l'uso cimbro delle prefiche (note anche queste come Klage), vale a dire piangitrici che a pagamento recitavano e si disperavano per la morte di qualcuno . Questo pianto raggiungeva per certi versi l'eccesso e si rivelava come un costante lodare i meriti del defunto, in un continuo che sembrava non finire.
Contro tale usanza di piangere disperatamente i morti arrivarono più volte forti rimproveri da sacerdoti ma anche dal Vescovo di Padova e da Papa Clemente XIII, i quali lamentarono tale uso sull'altipiano di Asiago .
Lo stesso don J. Bacher (sacerdote di Luserna tra il 1893 ed il 1899) raccolse una Totenklage, vale a dire una nenia funebre avente un ritmo simile a quello delle campane .
Bacher riferisce che la sera la gente del paese si recava a casa del morto e pregava in continuazione, tutta la notte e fino al mattino. Appena fatto giorno era uso offrire del caffè ed un pezzo di pane. Nessuno in quella notte avrebbe avuto il coraggio di andarsene da solo, altrimenti lo spirito del defunto lo avrebbe seguito. Con riferimento, invece, all'uso di mangiare del pane (diffuso fino agli anni Trenta), questo va ricondotto all'antichissima tradizione del "banchetto funebre" (di cui a Giazza rimane il termine kartack ).
Con riferimento, invece, ai presagi di morte, questi erano, oltre al canto della civetta, il canto del gallo di notte e il sognare bare e processioni di candele.
Sempre a Luserna anticamente si raccontava che non si doveva far pendere la catena del focolare per troppo tempo per evitare di "bruciare" le povere anime degli antenati.
Era diffusa anche la credenza che voleva che l'anima del defunto potesse arrivare in paradiso solo se le tasche dei suoi abiti erano vuote.
Ultima fase del mesto passaggio era la sepoltura: era tradizione collocare nella buca vuota una pala ed una zappa incrociate per impedire alle forze dell'occulto di impadronirsi di quel luogo.

LA LINGUA CIMBRA DI LUSERNA

"Bar mang net å-hevan zo reda vo dar zung vo Lusern åna zo höara bia si laütet - non possiamo parlare della lingua cimbra senza sentirne il suono." L'aggettivo dal quale trae origine il termine che identifica la lingua parlata a Luserna non deriva dall'omonimo popolo sconfitto dalle legioni romane nel 101 a.c. ai Campi Raudi, sembra nei pressi di Vercelli, bensì identifica un antico dialetto tedesco.
La lingua cimbra corrisponde, infatti, a un medio alto tedesco con influssi di antico tedesco nella versione bavarese. Tale lingua è stata portata sull'altopiano di Luserna/Lusern attorno all'anno mille da coloni bavaresi che in varie ondate migratorie hanno abbandonato le loro terre in cerca di nuovi territori da colonizzare.
Il periodo di massima estensione della lingua cimbra, si ha all'inizio del 1700; in tale periodo la lingua risulta parlata in un vasto territorio montano e pedemontano a sud-est di Trento compreso tra i fiumi Adige e Brenta, arrivando a contare circa 20.000 parlanti. Da allora inizia un lento inesorabile calo che porta quasi all'estinzione di tale idioma.
Di tutto l'ampio territorio trentino un tempo patria della lingua cimbra ora solo il piccolo paese di Luserna è rimasto ultimo baluardo; l'isolamento dell'altopiano lusernese ha permesso il mantenimento di questa lingua arcaica la quale, a detta degli esperti, esprime ancora oggi in modo rilevante il suo carattere notevolmente conservativo.
Il dr. Hans Tyroller fa notare come la lingua sia lo specchio di una comunità; la lingua cimbra infatti dimostra una grande ricchezza di vocaboli in campi molto specifici, come ad esempio lo sono le aree semantiche legate al legno e alla sua lavorazione, alla lavorazione dei campi e al tempo atmosferico.
Egli evidenzia inoltre come le somiglianze tra cimbro e bavarese si manifestino sia nel sistema fonetico che nel lessico; per quanto riguarda la morfologia, la lingua cimbra di Luserna ha sviluppato delle regole proprie legate al tedesco, essa è perciò in grado di integrare parole nuove semplicemente aggiungendo dei suffissi; i verbi si integrano togliendo all'infinito "-are" e aggiungendo "-arn".
Le parole composte si formano indifferentemente secondo gli schemi tedesco o italiano.
Nella forma la lingua cimbra è staccata dal tedesco e per alcuni aspetti segue una costruzione simile all'italiana; non troviamo quindi il participio passato in fondo alla frase, e nelle frasi secondarie, il verbo non va mai alla fine della proposizione.
Ciò che colpisce ogni studioso è in ogni caso la tipicità della parlata sia dal punto di vista fonetico e fonologico, che da quello morfologico e lessicale. Non voglio e non posso soffermarmi oltre su tali aspetti a causa della mia limitata competenza pertanto, dopo questo breve excursus tecnico, volgiamo ora lo sguardo alla situazione attuale della lingua cimbra.
In una sua relazione, lo studioso Hans Tyroller afferma che "fino a quando la lingua di minoranza è capace di integrare gli elementi della lingua di contatto, il prestito linguistico non è un pericolo per la lingua minoritaria, ma piuttosto si tratta di arricchimento", prosegue lo studioso "la lingua di Luserna mostra fino ad oggi una grandissima capacità di integrare elementi linguistici stranieri".
In parte senz'altro è vero, tutto ciò, però, avveniva ancora più naturalmente e facilmente fino quando all'interno della comunità tutti conoscevano anche il tedesco e quindi la lingua si arricchiva attingendo i neologismi da una lingua "sorella" e l'integrazione risultava se non altro più "naturale". Oggi avviene principalmente attraverso la lingua italiana e purtroppo non sono soltanto i neologismi ad essere "attinti" ma sempre più frequentemente il termine italiano viene a sostituire un termine cimbro esistente e, comunque e in ogni caso, l'impressione che ne consegue è quella di una lenta erosione del nostro vocabolario. Le cause sono molteplici, le principali possono essere sintetizzate nei matrimoni mistilingue, nelle nuove professionalità, nell'influsso dei mass-media ed infine nella diaspora che ha rappresentato negli ultimi decenni la vera piaga per Luserna, causata dalla impraticabilità del pendolarismo giornaliero e dalla mancanza di posti di lavoro in loco.
Un dato certo e aggiornato circa la condizione della lingua cimbra ci viene dai dati del censimento (L.P. 30 del 30 agosto 1999) che fotografa la situazione della minoranza cimbra di Luserna /Lusern alla data del 21 ottobre 2001; era la prima volta che veniva data la possibilità agli abitanti ed oriundi di Luserna, residenti in provincia di Trento, di dichiarare la propria appartenenza etnica.
Ne è uscito un quadro tutto sommato rassicurante: la minoranza cimbra, pur essendo risultata la più esigua a livello numerico sul territorio provinciale, è risultata essere anche la più "attiva": dei 259 cimbri residenti a Luserna/Lusern, ben l'87,2% ha una conoscenza perlomeno passiva della lingua di minoranza mentre l'84,2 ne ha una conoscenza attiva. Analizzando più a fondo i dati risulta che 86,7% dei bambini di età compresa tra i 0 e i 10 anni comprende la lingua di minoranza, mentre la parla l'80% . Al di fuori della propria "fonte culturale", ma all'interno del territorio provinciale, ben 80,8% dei cimbri comprende la lingua dei padri, mentre la parla il 74%.

DIE SITUATION IN DER SCHULE

Das Phänomen der Abwanderung hat, vor allem im Schulbereich, schwere Rückschläge gebracht. Während zu Beginn des 20. Jh. in der kleinen zimbrischen Gemeinschaft zwei Schulen bestanden – eine mit italienischer Hauptsprache, die ca. 20 Schüler umfasste, die andere, deutscher Sprache, mit etwa hundert Mitgliedern -, besuchen heute nur wenige Kinder den kleinen Kindergarten und die Volksschule.
Die rechtliche Voraussetzung für jedes Vorgehen zugunsten der zimbrischen Sprache ist das Autonomiestatut, das den Unterricht der deutschen Sprache und Kultur ermöglicht. Die Grundsatzvorgaben werden durch die Durchführungsbestimmungen, und zwar das Legislativdekret 321 von 1997 angewandt: Es dehnt auf Fersentaler und Zimbern aus, was durch das Legislativdekret 592 vom 16. Dezember 1993 bereits für die ladinische Minderheit festgelegt wurde.
Im Rahmen des Kindergartens wird der Gebrauch der zimbrischen Sprache dank des Landesgesetzes Nr. 18/87 und nachfolgender Änderungen durch die Anwesenheit von muttersprachlichen Lehrern gewährleistet.
Mit dem Dekret des Landshauptmanns vom 12. Juni 2001 Nr. 20-71/Leg wurden die Bestimmungen für die »Feststellung der Kenntnisse der Sprache und Kultur der deutsch- sprachigen Bevölkerungsgruppen der Provinz Trient« festgelegt.
Als sehr wichtig erwies sich schließlich eine Gesetzesbestimmung, die mit dem Haushalt 2001 verbunden ist: Sie führt höhere Flexibilität bei der Zuweisung des Lehrpersonals durch den Hauptschulamtsleiter an die Schulen der zimbrischen Gemeinde ein. Dank eines anderen Gesetzes entstand ein Fond für die Verbesserung der Schulqualität, aus dem Projekte für die Sprachminderheiten finanziert werden.
Während der Kindergarten und die Volksschule im Ort liegen und demnach in erster Linie von Kindern besucht werden, die, wenn schon nicht immer über aktive, so doch zumindest passive Kenntnisse der zimbrischen Sprache verfügen, besuchen die Mittelschule von Lavarone, in die auch die Schüler von Lusérn gehen, im Wesentlichen Schüler Lavarones, die nicht Zimbrisch sprechen, weshalb es schwierig ist die Minderheitensprache in die Schule hineinzutragen.
Seit einigen Jahren läuft in der Volksschule von Lusérn ein Projekt für den Unterricht verschiedener Gegenstände in der Unterrichtssprache Deutsch (dreizehn Wochenstunden). Im Schuljahr 2003/2004 sollte das Projekt auch in der Mittelschule von Lavarone durchgeführt werden.

DIE SOZIO-ÖKONOMISCHE UN POLITISCHE SITUATION

Tatsächlich stellt Lusérn/Luserna die bestandsmäßig größte zimbrisch-deutschsprachige Gemeinschaft dar: Bei der Zählung von 2001 erklärten sich 267 Einwohner (von 297) als der zimbrischen Gruppe zugehörig, wie zusätzlich auch 397 Bewohner anderer Gemeinden der Provinz Trient, zu denen noch einige hundert Abgewanderte zählen, die außerhalb der Provinz (speziell in Bozen) oder im Ausland (in erster Linie Österreich, Schweiz, Deutschland) leben. Allein diese Daten vermitteln uns ein Bild von der prekären Situation unserer Gemeinschaft: Der Großteil der Mitglieder lebt fern dem historischen Siedlungsgebiet, wobei mit der erfolgten Diaspora die reelle Gefahr verbunden ist, dass unter dem Einfluss der neuen Gesellschaft in der 2. oder 3. Generation der Auswanderer eine Assimilierung stattfindet.
Das hat seinen Grund. Unsere zimbrischen Gemeinschaften haben sich nicht bewusst entschieden, sich »aufzulösen«. Es waren äußere Einflüsse, die die zimbrische Bevölkerung gezwungen haben, den Gebrauch ihrer Sprache – ein wesentliches  Merkmal der Volksgruppe– immer weiter zu reduzieren.
Die Arbeitssuche war ein gravierender Grund für die Abwanderung. Lusérn hat nur äußerst geringe Arbeitsplätze zu bieten: Es befindet sich in den Bergen (1.333 m ü.d.M.), 14–17 km von den nächstgelegenen Orten und fast 50 km (beinahe zwei Stunden mit dem Bus) von der Hauptstadt Trient entfernt. Während die Auswanderung bis zu den Sechziger/Siebzigerjahren zumeist saisonbedingt war (Bauwesen, Fremdenverkehr) und ins Ausland führte, richtete sie sich später auf die Orte des Talgrundes (Trient, Rovereto, Bozen) und wurde definitiv.
Einen vielleicht tödlichen Stoß erlitt unsere Gemeinschaft durch die falsche Einschätzung der sozialen Auswirkungen einer großen Zivilreform und mit ihr einhergehender Maßnahmen: die Einrichtung der einheitlichen Mittelschule in Lavarone im Jahr 1964.
Vom Zweiten Weltkrieg bis 1967 zählte die in Lusérn wohnhafte Bevölkerung stabil etwa 650 Einwohner. Im Sommer 1967 schlossen unsere Jugendlichen die Pflichtschule mit dem Mittelschulzeugnis ab, das es ihnen zum erstenmal gestattete, eine Oberschule oder Berufsschule zu besuchen (was mit dem Zeugnis der Volksschul-Übergangsschule, die bis dahin in Lusérn bestand, nicht möglich war).
Da die Schüler mit dem Linienbus um 5.50 Uhr in der Früh von Lusérn wegfahren mussten und erst um 20.00 wieder nach Hause kamen und da die Stipendien höchstens einen Monat der Internatskosten deckten, zogen die betroffenen Familien nach Trient oder Rovereto. In 4 Jahren (1967–71) verlor Lusérn 100 Einwohner, in 14 Jahren (1967–1981) 200, d.h. fast ein Drittel der Bevölkerung.
Und es handelte sich um die junge Generation! Diese fühlt sich zwar noch als zur zimbrischen Gemeinschaft von Lusérn gehörig, wie die Erklärungen bei der Volkszählung 2001 zeigten, doch droht die Bindung zum Heimatort  im Laufe weiterer Generationen, schwächer zu werden.
In den letzten Jahren und Jahrzehnten hat sich die Gemeindeverwaltung sehr darum bemüht, sowohl die Infrastrukturen und die Dienstleistungen zu verbessern, als auch den Zusammenhalt der zimbrischen Gemeinschaft zu fördern (Nachrichtenblatt der Gemeinde, Bibliothek, Spielothek, zimbrische Gruppe, Zweijahrestreffen der aus Lusérn Gebürtigen, Einführung eines Schülertransportdienstes, Nutzung der Erträge der Gemeinschaftsgüter für die Schaffung von Arbeitsplätzen und für einen Beitrag zu den größeren Auslagen vom Familien mit Kindern, wie auch für die Werktätigen, die täglich pendeln).
Die Verwaltung hat sich auch sehr für die Wirtschaftsförderung eingesetzt (die unerlässlich ist, um der Gemeinschaft eine Zukunft zu bieten): Sie hat alle Wirtschaftsvorhaben von Privatleuten unterstützt und ist für die Gründung des Konsortiums für Bodenverbesserung, der Arbeitsgenossenschaft Lusérnar scarl, des Kulturinstituts für das Fersental und Lusérn (Förderung der zimbrischen Sprache und Kultur, Verwaltung des Museumshauses), der Stiftung Dokumentationszentrum Lusérn (Museum, Ausstellungen, Tagungen, Studien, Publikationen, www.lusern.it) eingetreten.
Derzeit ist sie bemüht, von der Provinz die Finanzierung für den Erwerb eines bescheidenen, noch fehlenden Areals zu erhalten, wie auch eines Gebäudes für Produktionstätigkeit und Dienstleistungen (zur Vermietung an Handwerker und Kleinbetriebe) und eines Heubäder/Wellness-Zentrums.  Ungeachtet aller Versprechungen schneiden in Geldfragen leider immer die größeren Orte gut ab und erhalten die kräftigsten Investitionen, während die Lösung der Probleme kleinerer Gemeinden immer aufgeschoben wird.
Der Ort zählt zwar wenige Einwohner, doch besteht eine starke Bindung seitens der Abgewanderten, die hier zahlreich den Urlaub und die Feiertage verbringen, wodurch die Beziehungen zu den verbliebenen Einwohnern lebendig bleiben. Wir haben glücklicherweise eine bescheidene Entwicklung von Ferienwohnungen erlebt: Die Luserner verkaufen selten ihre Häuser und ziehen es verständlicherweise vor, das Eigentum den Kindern und Enkeln zu überlassen. Das trägt zur Wahrung eines Identitätsgefühls bei.
Trotz der niedrigen Einwohnerzahl des Ortes weist er ein gutes Dienstleistungsniveau auf: selbständige Gemeinde, Pfarre, Postamt, Bankstelle (2 Tage pro Woche + automatischer Schalter), Stelle zur medizinischen Versorgung (mit Arzt und Krankenschwester, 3 bzw. 5 Mal in der Woche), zwei Geschäfte mit Lebensmitteln und Konsumwaren, eine Friseurin, vier Bars/Restaurants, die das ganze Jahr hindurch geöffnet sind, der Agritur-Betrieb Galeno (mit Restaurant und 30 Betten), das Hotel Albergo Lusernarhof (die Gemeinde hat die Enteignung dreier alter Gebäude vorgenommen und diese umgebaut; sie umfassen nun ein Restaurant, eine Bar, 28 Betten; die Geschäftsführung besorgt eine Familie von Lusérn, www.lusernarhof.it ), eine Buchhaltungskanzlei, zwei Geometerbüros, einige kleine Bau- und Forstbetriebe, dazu noch eine Mehrzweck-Arbeitsgenossenschaft.
Dann sind die kulturellen Einrichtungen zu nennen: das Kulturinstitut für das Fersental und Lusérn (die beiden Institute sind seit 2005 selbstständig), das Dokumentationszentrum Lusérn, der Zimbrische Polyphoniechor, der Pfarrchor, der Kulturverein, der historische Fotoklub »A. Bellotto«, der Freizeitverein Spilbar, die Kurverwaltung, die Feuerwehr. Der Kulturverein verfügt über einen kleinen Fußballplatz, die Gemeinde über einen Tennisplatz, eine Bocciabahn und einen Tagungssaal.
Dramatisch ist hingegen die Situation im Schulbereich: drei Schüler besuchen die Mittelschule von Lavarone, drei Kinder den Kindergarten von Lusérn und drei die Volksschule (drei Tage in der Woche in Lusérn und zwei Tage in Lavarone). Die Mensa wird für alle Einrichtungen gemeinsam geführt, der Betreuer spielt mit den Kindern in der Mittagspause und spricht mit ihnen vorwiegend Zimbrisch. Einige Kinder werden nach Lavarone zur Schule gebracht, wo die Mütter arbeiten.
Wir haben uns gegen den Versuch gewehrt, unsere Schulinstitute zu schließen: Die Eingliederung aller unserer Kinder in die Schule von Lavarone ohne pädagogisch-didaktisches Programm, das unsere sprachliche und kulturelle Besonderheit berücksichtigt, würde die reine, nackte Assimilierung und den Verlust der Sprache und Identität bedeuten. Wir sind hingegen bereit, ein zwei bzw. dreisprachiges Schulmodell ins Auge zu fassen (Italienisch/Deutsch plus einige Stunden Zimbrisch), das für die Schüler von Lavarone und Lusérn einheitlich ist und ihnen mehr als die normale Schule bietet.
In Anbetracht unserer zahlenmäßigen Schwäche und demnach des geringen politischen Gewichts haben wir es als erforderlich erachtet, unsere Rechte als deutsche Volks- und Sprachgruppe geltend zu machen.
Kraft des Pariser Abkommens »De Gasperi–Gruber«, das am 5.9.1946 von Italien und Österreich unterzeichnet und dem Friedensvertrag beigelegt wurde, genießt die Region Trentino-Südtirol eine starke Sonderautonomie, die auf den Schutz der »deutschsprachigen Einwohner der Provinz Bozen und der benachbarten zweisprachigen Gemeinden der Provinz Trient« ausgerichtet wurde. Für die letzteren Gemeinden hat die Provinz Trient nie Interesse bewiesen. Als im Jahr 1992 die Parlamente von Österreich und Italien daran gingen, die sogenannte Streitbeilegungserklärung abzugeben – um vor der UNO die Streitsache abzuschließen, die Österreich in den Sechzigerjahren wegen der Säumigkeit Italiens gegenüber den Südtirolern angestrengt hatte – haben wir als Luserner und Fersentaler Bürgermeister dem österreichischen Vizekanzler und Außenminister Alois Mock, sowie unserem Ministerpräsidenten Giulio Andreotti und Außenminister Gianni Demichelis geschrieben und die Anerkennung gefordert, dass wir als deutschsprachige Einwohner der Provinz Trient durch das Pariser Abkommen geschützt sind.
Im Antrag auf die Schließung der internationalen Streitsache vom 10.6.1992 führt der österreichische Nationalrat unter Punkt 10) an: »… wird die Bundesregierung ersucht, auch dafür einzutreten, dass den deutschsprachigen Sprachinseln in der Autonomen Provinz Trient diejenigen Rechte gewährt werden, die der Pariser Vertrag in seinem Artikel 1 und den Akten seiner Durchführung für diese Gemeinden vorsieht«. Zu bemerken ist, dass die Provinz Trient im dispositiven Teil des Textes nur an dieser Stelle und nur insofern genannt wird, als sich die international geschützten deutschen Sprachinseln der Zimbern von Lusérn und der Fersentaler auf ihrem Gebiet befinden.
Rom (Demichelis) hatte geantwortet, dass die Verpflichtungen laut Pariser Abkommen schon mit dem ersten Statut von 1948 (das die Fersentaler und Zimbern nicht erwähnte) eingehalten worden waren.
Nach fast einem Jahrzehnt unbeirrter, begründeter Forderungen auf rechtliche Anerkennung, bei konstantem Dialog mit allen politischen Kräften und beteiligten Institutionen, wurde mit dem Verfassungsgesetz 2 des Jahres 2001 das Autonomiestatut geändert, wonach nun den Ladinern, Fersentalern und Zimbern der Provinz Trient das Recht auf Schutz ihrer Sprache und Identität zuerkannt wird. Es wurde festgelegt, dass die Provinz Trient entsprechende finanzielle Reserven aufbringen muss, die den Erfordernissen der kulturellen, sozialen und wirtschaftlichen Entwicklung der ladinischen, fersentalerischen und zimbrischen Bevölkerungsgruppen angemessen sind. Soweit die Grundsatzerklärung, die wesentlich ist, aber dann doch  mit widersprüchlichen Interessen kollidierte. Wenn es um »Geld« geht, hat immer der Größere und Stärkere die Oberhand, während die Kleineren die Reste erhalten, wenn es welche gibt.
Die »internationale Verankerung » unseres Schutzes wurde durch eine Einladung bestätigt, die ich als Koordinator des »Einheitskomitees der historischen deutschen Sprachinseln in Italien« vom österreichischen Außenministerium erhielt: eine Einladung zur Teilnahme an der Zeremonie zum 10. Jahrestag der Streitbeilegung Österreich-Italien, am 10.6.2002. Als der Klubobmann der ÖVP Andreas Khol – nun Nationalratspräsident – bei der Sitzung des Nationalrats in Wien von den deutschen Sprachinseln des Trentino sprach und sich mit einem Gruß an den anwesenden Bürgermeister von Lusérn richtete, klatschten alle Sektionen Beifall, zum Zeichen der Sympathie und der Bestätigung des Interesses an unseren deutschen Sprachgemeinschaften.
In den letzten Jahren konnten dank der Änderung des Regionalgesetzes 10/88, der Genehmigung des Landesgesetzes 4/1999 und des gesamtstaatlichen Gesetzes 482/99 zahlreiche Projekte eingeleitet werden, die der Aufwertung unserer Sprache und Identität dienen (Nachrichtenblatt der Gemeinde, Radiosendungen, Internet www.luserna.org, Spielothek, Ortsnamensgebung, Kurse, Hinweistafeln usw.).
Abschließend sei Folgendes gesagt: Unsere Situation ist schwierig, doch der Pessimismus der Vernunft wird durch den Optimismus des Willens übertroffen. Den guten Willen sehen wir nicht nur in der Gemeindeverwaltung, sondern auch bei Privatleuten: Dieses Jahr entstanden zum Beispiel zwei kleine Betriebe; derzeit sind vier Gemeindebaustellen offen und doppelt so viele private (8 Wohnungen werden geschaffen bzw. umgebaut). Vor hundertzwanzig Jahren behaupteten manche, die deutschen Sprachinseln des Trentino wären bereits erloschen, doch bin ich heute fest überzeugt, dass unsere Gemeinschaft in ebenso vielen Jahren immer noch bestehen wird.
Sicher müssen alle – öffentliche Verwaltung und Bürger – ihren Teil dazu beitragen!